La manovra è ancora un cantiere aperto, ma in maggioranza si apre un nuovo fronte sulla prossima legge di bilancio: la Lega e i Cinquestelle, dietro le quinte, stanno...
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Delegato direttamente dal vicepremier grillino, martedì scorso il presidente dell'Inps si è presentato al Mef con il capo della segreteria di Di Maio al dicastero del Lavoro, Giovanni Capizzuto, e alcuni dirigenti dell'ente previdenziale. Davanti ai capidipartimento di via XX settembre (non c'era il ministro dell'Economia, Giovanni Tria) il padre del reddito di cittadinanza ha spiegato che il governo o almeno la parte grillina vuole portare la paga base orario a 9 euro lordi, applicando lo strumento a tutti i lavoratori dipendenti coperti e non dai contratti nazionali e che sono sotto questa cifra. Fuori, quindi, chi come i metalmeccanici sfiora i 13 euro all'ora, sommando tutte le indennità presenti nella loro busta paga. Alla domanda sui costi, Tridico ha risposto che la misura peserà per le aziende per circa 7 miliardi di euro in più. Ma secondo l'economista, lo Stato incasserà una cifra analoga tra maggiore Irpef, contributi previdenziale e Iva, per non parlare della spinta dati ai consumi.
Sul salario minimo Tria non si è ancora espresso. Il progetto, come detto, non esalta soprattutto la Lega. La quale spinge per un accordo con i Cinquestelle per portare a 8 euro la soglia minima e applicarla soltanto ai lavoratori fuori dal contratto nazionale di lavoro.
Soprattutto si vuole garantire alle imprese un taglio al cuneo fiscale più consistente. E sul costo del lavoro - anche nell'ottica di risarcimento alle aziende proprio per il salario minimo sta invece lavorando Di Maio.
Il vicepremier, senza citare gli alleati, ieri ha fatto sapere che su questo tema di aver ricevuto «dei no, dei no che fanno male al Paese». Ma dubbi li hanno espressi anche i sindacali, ai quali ha illustrato pezzi del suo provvedimento ai sindacali durante gli ultimi due vertici a Palazzo Chigi. I confederali sono scettici sull'incisività della misura - vale tra i 4 e i 5 miliardi di euro - sul fatto che si poggia sostanzialmente sulla cancellazione di una voce della busta paga centrale per le parti sociali: il contributo ordinario a carico dei datori di lavoro per finanziare la Naspi, l'ammortizzatore per chi perde il lavoro, o l'indennità di disoccupazione agricola. Nel primo caso le imprese pagano il'1,61 per cento (di cui lo 0,30 destinato al finanziamento degli enti bilaterali per la formazione) dello stipendio, che sale dell'1,40 per i rapporti a tempo determinato. Nell'altro, le aziende versano un contributo pari al 2,75 per cento della retribuzione, nel quale è compreso la parte destinata alla bilateralità.
Al momento Di Maio guarderebbe a una decontribuzione concentrata solo sui lavoratori a tempo indeterminato. Stando ai suoi calcoli, le aziende risparmieranno in questo modo 5 miliardi nel 2019, che saliranno nel 2029 a poco più di 6. Tutti soldi che andrebbero recuperati con la fiscalità generale, con altre imposte, tanto che i sindacati temono sia un aumento dell'Iva e sia che lo stesso schema possa essere esteso in futuro alla contribuzione ordinaria per pagare le pensioni. Sempre il ministro ipotizza di ridurre al minimo anche gli oneri pagati dalle imprese per attivare gli ammortizzatori sociali e vorrebbe garantire una decontribuzione maggiore a chi assume stabilmente donne o disoccupati al Sud.
Secondo la Lega un taglio da 4 miliardi di euro del cuneo fiscale è - come ha dichiarato il viceministro all'Economia, Massimo Garavaglia - «poca cosa». Il Carroccio vorrebbe impegnare almeno il doppio e guarda alla riduzione della parte fiscale del costo del lavoro, anche sui redditi oltre i 55mila euro. In quest'ottica si valuta di trasformare gli 80 euro di renziana memoria da una prestazione assistenziale a una detrazione fiscale di 100 euro, legata al cuneo.
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Il Messaggero