Sono un milione e quattrocentomila persone e contribuiscono al Pil nazionale per il 12,8%. Costituiscono il 5% delle forze lavoro in Italia e il 25% del complesso del lavoro...
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Una fotografia con spunti particolarmente interessanti, a partire dall'evidenza che in tempi di difficoltà del mercato del lavoro, la libera professione per molti è stata una sorta di ancora di salvezza, l'unica in un mare agitato pieno di scogli a raso.
E poi ci sono professioni e professioni.
Il fatturato complessivo dei liberi professionisti italiani «risulta in tendenziale crescita negli ultimi anni», con un volume d'affari passato dai 188 milioni 440.000 euro del 2011 agli oltre 211 milioni del 2015: da queste somme si desume che il contributo delle loro attività al Prodotto interno lordo (Pil) nazionale nel 2015 era del «12,8%», mentre nel 2011 era pari all'11,5%.
Oltre a un gap di reddito tra le varie categorie, c'è da registrare anche il persistere di un gap di genere: i due terzi dei liberi professionisti in Italia sono uomini. «Le libere professioni si dimostrano essere un settore prevalentemente maschile» sintetizza il rapporto. La presenza femminile va diminuendo dal Centro-Nord (37%) al Mezzogiorno (30%). L'età media è, infine, ritenuta «elevata», visto che (sebbene nella maggior parte dei casi i professionisti debbano investire alcuni anni nel tirocinio/praticantato, o nei percorsi di specializzazione 'post-lauream') è di «46,4 anni». E «nell'ultimo decennio aumentata complessivamente di circa due anni».
Per quanto riguarda la distribuzuone geografica, la libera professione sembra molto più gradita al Nord che al Sud: a fronte delle media di 24 liberi professionisti ogni mille abitanti, si passa infatti «da 30 unità per 1.000 abitanti in Emilia Romagna a 14 in Calabria e, in generale, in tutto il Mezzogiorno tale valore non supera le 21 unità».
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Il Messaggero