L’Expo di Astana (Kazakhstan), “Future Energy”, è in corso dal 10 giugno. Pochi se ne sono accorti. Particolarmente in Italia dove...
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Le strategie che dobbiamo adottare generano infatti anche effetti virtuosi sulla crescita (la previsione è dell’Ocse). E guardando a noi, pochi ancora riflettono sul ventaglio di settori industriali chiamati in causa dalle nuove sfide: dalle tecnologie per il risparmio e l’efficienza energetica a quelle per la produzione, trasmissione e distribuzione di energia; dagli impianti fotovoltaici a quelli eolici, da biomasse o idroelettrici; senza trascurare l’articolato complesso di azioni promosse dal paradigma della Smart City.
Pochi probabilmente conoscono le cifre virtuose del nostro Paese nel comparto della cosiddetta green economy, capace ormai di produrre 17 mila gigawattora di energia rinnovabile e di rappresentare il primo mercato per produzione idroelettrica in Europa. Sono dati - li ricavo da un bella clip di Assolombarda per Astana, dal titolo “L’energia degli Italiani” - che rivelano come l’Italia abbia 50 mila impianti nel fotovoltaico, 2700 eolici, 3700 idroelettrici, 24 geotermici, 2261 termoelettrici operativi. E come la nostra rete di distribuzione sia lunga più di un milione e duecentomila chilometri (tre volte la distanza luna-terra).
Infine l’Italia ospita circa 10 mila impianti di storage di energia proprio in conseguenza dello sviluppo del fotovoltaico. Abbiamo in conclusione i consumi di energia per unità di Pil (il prodotto interno lordo) tra i più bassi d’Europa. Certo, molto resta ancora da fare e tuttavia siamo di fronte ad una risposta silenziosa, ma promettente, che siamo stati capaci di dare (e anche di esportare).
Qualche giorno fa Francesco Rutelli ha ricordato – nel tracciare la prospettiva europea di una Unione energetica ispirata ad autosufficienza e sicurezza – come negli stessi Usa gli Stati, le città e le imprese stiano promuovendo in campo energetico un singolare processo “anti-politiche di Washington”. Un segmento importante di questa cultura industriale della circolarità è ad esempio rappresentato dal trattamento delle acque reflue che vede i Paesi ad alto reddito trattare il 70% di queste ultime. Ma la percentuale scende al 28% nei Paesi a medio-basso reddito e solo l’8% delle acque reflue industriali e comunali viene sottoposto ad un qualsiasi trattamento nei Paesi a basso reddito.
Dunque, secondo il World Water Assesment Programme Unesco, più dell’80% delle acque reflue vengono rilasciate nell’ambiente senza alcun trattamento adeguato. Ne parliamo perché il 44% dell’acqua dolce viene consumata in agricoltura attraverso il processo di evaporazione nei terreni irrigati, mentre il rimanente 56% viene rilasciato nell’ambiente sotto forma di acque reflue provenienti dagli scarichi industriali e comunali e dal drenaggio dell’acqua in agricoltura. E questi dati inaugurano la grande partita del ri-uso, di un’energia e di un’economia circolari capaci di mettere alla prova la sfida della sostenibilità proprio nella distesa di una risorsa preziosa e finita quale è appunto l’acqua. Nuove tecnologie, nuove regole dovranno dunque contribuire a rendere meno cupo il nostro orizzonte.
Astana diviene allora una importante occasione di confronto e di scambio. Soprattutto perché – troppo spesso lo dimentichiamo - l’”energia siamo noi”, la nostra voglia di non dismettere mai la grande occasione che abbiamo: quella di contribuire, dalle isole più diverse della nostra appartenenza culturale, politica, religiosa a rendere migliore questo nostro passaggio. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero