Politica industriale/ Quel pessimo segnale sul caso Ilva

Politica industriale/ Quel pessimo segnale sul caso Ilva
Taranto è una città perfetta. Viverci dentro è come vivere all’interno di una conchiglia». La città che incantava Pasolini nel 1959,...

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Taranto è una città perfetta. Viverci dentro è come vivere all’interno di una conchiglia». La città che incantava Pasolini nel 1959, è, da qualche anno, la perfetta metafora di un Paese che si trascina da un’emergenza ad un’altra senza riuscire a concepire una strategia. 

E la notizia appena arrivata di una nuova capriola sulla questione Ilva dimostra, con tutta evidenza, che abbiamo perso, persino, la speranza di risolvere i problemi.
Problemi ai quali ci siamo pericolosamente assuefatti. È questo quello che verrebbe da pensare all’amministratore delegato di qualsiasi grande impresa che possa aver considerato – anche solo per un momento – la possibilità di portare tecnologie e lavoro in Italia, nel leggere dell’ultimo “cambiamento di idea” (il terzo in un anno) che il governo italiano ha avuto sulla questione fondamentale dello scudo rispetto a responsabilità penali che possono gravare sulla multinazionale che si è presa l’impegno di completare la riconversione di impianti che sono progressivamente sempre meno inquinanti. 
La norma – necessaria per convincere ArcelorMittal, il più grande produttore di acciaio del mondo, in un mercato dominato dai cinesi - produce un’eccezione rispetto alla legislazione penale e, quindi, uno schermo rispetto all’azione della magistratura che è stata protagonista assoluta - e, spesso, in positivo per il coraggio dimostrato a disvelare le proporzioni di un enorme disastro ambientale e per la salute – della vicenda Ilva. 
Quella norma cancellata dal decreto crescita di aprile di quest’anno, era stata reintrodotta e pubblicata in Gazzetta Ufficiale all’inizio di settembre e verrebbe cancellata per effetto dell’iniziativa di un gruppo di senatori del Movimento Cinque Stelle che ha deciso di dare battaglia per la leadership interna, agitando quelle che del Movimento sono state le bandiere. 
Non è detto, in realtà, che il quadro non possa cambiare nuovamente, visto che il governo si è impegnato a ridiscutere il caso. Allarma, però, l’ipotesi che anche nel Pd un gruppo faccia sponda ai grillini. In ogni caso l’incertezza ha l’effetto di produrre da sola conseguenze devastanti ed è riuscita a mettere della stessa parte - quella dell’opposizione categorica - sia i sindacati che l’azienda. 
Che nel caso in cui lo scudo saltasse, potrebbe andar via, senza, neppure, pagare penali. In questi casi, si definisce, invece, assordante il silenzio di un Partito Democratico che - debilitato dall’ennesima scissione e travolto dalla necessità di governare - fa fatica a ritrovare una strategia nuova che non sia quella della normalizzazione di un Paese che ha di fronte, invece, sfide radicali. 
Ma Taranto è la storia perfetta per raccontare, più in generale, il declino di un Paese che, da decenni, è senza prospettiva. È, da tempo, che non abbiamo più politiche industriali. E neppure uno straccio di visione di quello che l’Italia può ragionevolmente essere tra 10 anni. Di quali sono le “specializzazioni intelligenti” (come le chiama la Commissione Europea), i settori nei quali possiamo costruire vantaggi competitivi duraturi. 
E, però, al posto della strategia, i governi italiani che si sono progressivamente specializzati ad utilizzare la legge – fiscale o, addirittura, penale - per favorire con provvedimenti personalizzati le aziende con le quali prova a costruire alleanze debolissime per uscire dalle crisi più urgenti. Salvo, poi, ritirare – scomodando, ulteriormente, il legislatore – quel provvedimento speciale, nel caso in cui, un cambiamento di coalizione porti alla ricerca di un nuovo alleato. Con il risultato finale di non avere più né investitori esteri e, neppure, un sistema tributario o una giustizia affidabile che è alla base di un qualsiasi patto sociale tra cittadini e Stato, tra Stato e imprese.
Non è vero – lo dimostrano benissimo, persino, i cinesi – che c’è una scelta da fare tra ambiente e crescita. Ed è altrettanto falso che salvare aziende in crisi e fare innovazione siano due mestieri diversi. Si può trovare un futuro nell’acciaio se si riuscisse a decidere di dedicarsi ad una nicchia sugli acciai speciali. Ma per quello servirebbe non solo un salvatore da attrarre con provvedimenti speciali, ma la ricostruzione di una filiera fatta di ferro, carbone, università e produttori di altissima gamma che scommettano sullo stesso progetto.

Ci servirebbe intelligenza (e fantasia) al potere. Più che soldi o concessioni. Invece, al contrario, ci troviamo a dover fare i conti con capriole che rischiano di farci perdere anche l’ultimo treno.
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Il Messaggero