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L'Italia, il Paese che a livello europeo deve usare la quota più significativa di fondi del Pnrr, ha iniziato ad affrontare questa sfida schierando la pubblica amministrazione più anziana del Vecchio Continente. Una Pa che nel 2019, prima dell'emergenza pandemica, aveva potuto usufruire di attività di formazione per meno di 50 euro a testa, circa il 40 per cento in meno rispetto a dieci anni prima. La situazione dei dipendenti pubblici del nostro Paese viene tratteggiata nel rapporto annuale dell'Istat presentato ieri dal presidente Gian Carlo Blangiardo; rapporto che contiene naturalmente moltissimi altri dati e si sofferma in particolare sulla difficile ripresa post-Covid, caratterizzata da un elevato livello di diseguaglianza.
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LE CAUSE
I fattori che hanno condizionato l'attuale assetto del lavoro pubblico sono essenzialmente due. Il primo è il blocco del turn-over, ovvero delle assunzioni che avrebbero dovuto compensare i flussi di pensionamenti: questo processo - in corso già nel primo decennio del secolo - ha di fatto bloccato l'ingresso dei giovani negli uffici e nelle altre strutture della pubblica amministrazione. Si è aggiunto poi l'effetto delle riforme pensionistiche culminate a fine 2011 nella legge Fornero, che hanno trattenuto in servizio i dipendenti più anziani.
GLI SFORZI
Questo il quadro della situazione: va aggiunto, come lo stesso istituto di statistica fa osservare, che negli ultimi tempi proprio in vista delle scadenze del Recovery Plan ha incrementato assunzioni e investimenti.
I giovani relativamente poco presenti nella pubblica amministrazione sono anche la categoria sociale che, insieme alle donne e agli stranieri, ha maggiormente risentito delle crisi degli ultimi anni. Se dal 2005 al 2021 il numero delle persone in povertà assoluta è più o meno triplicato, passando da 1,9 a 5,6 milioni, per coloro che hanno tra i 18 e i 34 anni l'incremento è stato ancora maggiore, di quasi quattro volte. La crescita della povertà è stata naturalmente accentuata dalla pandemia, e in questa fase il reddito di cittadinanza e il reddito di emergenza hanno contribuito a limitare i danni. Ma proprio i giovani sono i più esposti anche al malessere del mondo del lavoro. Cinque milioni sono in tutto il Paese gli italiani con un occupazione non standard: a tempo parziale, a tempo indeterminato, oppure collaboratori. Se guardiamo al mondo dei dipendenti circa 4 milioni, ovvero il 29,5% del totale, hanno una retribuzione inferiore a 12 mila euro lordi l'anno. Questo bacino di persone si interseca con quello di coloro che hanno una bassa retribuzione oraria (meno di 8,41 euro l'ora): ancora una volta si tratta spesso di giovani sotto i 34 anni, che in molti casi (ma non sempre) vivono ancora nella famiglia di origine: condizione che riguarda circa sette milioni di ragazzi. I settori in cui si manifesta la povertà lavorativa sono i servizi di intrattenimento, l'alloggio e la ristorazione, l'istruzione privata. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero