Derivati, una mina da “37 miliardi” sui conti pubblici italiani

Derivati, una mina da “37 miliardi” sui conti pubblici italiani
(Teleborsa) - L'esposizione dello Stato italiano verso i derivati rischia di vanificare ogni sforzo per una revisione della spesa pubblica e bloccare il ventilato taglio delle...

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(Teleborsa) - L'esposizione dello Stato italiano verso i derivati rischia di vanificare ogni sforzo per una revisione della spesa pubblica e bloccare il ventilato taglio delle tasse.

Il tema del rischio insito nei conti statali, di tanto in tanto, riemerge ed il Tesoro ha più volte gettato acqua sul fuoco.

Tuttavia, secondo l'ufficio Studi Unimpresa, esisterebbe una “mina sulla finanza statale italiana” del valore di 37 miliardi di euro.
In base ad un'analisi effettuata su dati della Banca d'Italia, la massa di derivati finanziari in passivo nei bilanci dello Stato, voce che nell'ultimo anno si è allargata di quasi il 30% ed è arrivata a quota 36,8 miliardi. Al contrario, si registra una sostanziale invarianza (+0,7%) dei derivati in perdita nelle amministrazioni locali: nei 12 mesi sotto la lente, le consistenze dei bilanci di comuni, province e regioni sono passate infatti da 1,26 miliardi a 1,27 miliardi, con un aumento di soli 9 milioni. 

In tutta Italia, considerato sia il settore pubblico sia quello privato, la montagna di titoli finanziari ad alto rischio, cioè potenzialmente in perdita, è cresciuta in totale di oltre l'8% in un anno (dal 2013 al 2014) passando da 153 miliardi di euro a 166 miliardi.

Su anche i derivati “a rischio” delle banche, in crescita di 4,7 miliardi da 105,7 miliardi a 110,5 miliardi (+4,4%). Lieve incremento per i prodotti speculativi nei bilanci delle imprese: a fine 2014 l'ammontare è salito di 347 milioni a quota 7,6 miliardi rispetto ai 7,3 del 2013 (+4,7%). Nel comparto assicurativo e dei fondi pensione si è passati da 5,2 a 5,5 miliardi (+5,1%) in aumento di 269 milioni, mentre il resto degli intermediari finanziari ha registrato una crescita di 164 milioni (+3,5%) da 4,6 miliardi a 4,8 miliardi.



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Il Messaggero