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Una massa consistente di emissioni in programma, in uno scenario in cui i tassi sono ancora in rialzo e la Bce persiste nella linea dura contro l’inflazione. E contemporaneamente l’esigenza di proseguire – in condizioni più difficili – il percorso di discesa in rapporto al Pil, alla vigilia dell’entrata in vigore del nuovo Patto di stabilità e crescita. Per il debito pubblico italiano sarà un 2023 in acque agitate, che comunque il Tesoro è ben attrezzato a navigare: in questo contesto si colloca anche l’indicazione data dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, il quale in una recente audizione parlamentare ha spiegato di puntare ad una risalita della quota di titoli di Stato in mano ai risparmiatori domestici, quota scesa nel 2021 al minimo del 6,4 per cento. In questa visione, più debito in mani italiane vuol dire più stabilità e meno volatilità, soprattutto nelle fasi di turbolenza.
IL PUNTO DI PARTENZA
Che il compito sarebbe stato impegnativo, era noto da tempo: il nuovo anno si avvicina con un carico di quasi 260 miliardi di titoli a medio e lungo termine (esclusi i Bot) da rinnovare. Nel 2022 sono stati meno di 230. Ma mentre l’asticella viene alzata, e non di poco, si allontana un importantissimo giocatore in campo, la Banca centrale europea: alcuni analisti calcolano che a causa del suo Quantitative tightening, la graduale dismissione dei titoli dell’Eurozona in portafogli massicciamente acquistati negli anni scorsi, ammonterà a circa 300 miliardi la quota aggiuntiva che dovrà essere assorbita dagli investitori privati. Una marcia indietro che colpisce tutti, ma in modo più vistoso il Paese più grande e indebitato: ovvero l’Italia.
LE PREVISIONI
I segnali delle ultime settimane non sono certo drammatici, ma si presentano tuttavia piuttosto chiari. Lo spread tra Btp e Bund, che a cavallo di settembre e ottobre – ovvero in prossimità dell’insediamento del nuovo governo – aveva toccato un picco intorno a 250 punti, era poi sceso fino a 177 il primo dicembre. Da allora è risalito riavvicinando quota 220, seppur con oscillazioni. Nel frattempo il rendimento del Btp decennale è arrivato a sfiorare il 4,5 per cento. Già a novembre il governo aveva preso atto della tendenza, rivedendo al rialzo la previsione di spesa per interessi che il prossimo anno dovrebbe salire di circa 3,6 miliardi rispetto alle stime di settembre, portandosi al 4,1 per cento del Pil (il cui valore nominale è a sua volta cresciuto per effetto dell’inflazione attesa). Da questo livello, che è lo stesso toccato nel 2022, l’incidenza dei pagamenti dovrebbe scendere al 3,9 nel 2024, per poi risalire l’anno successivo. Su questo percorso pesa l’atteggiamento della Banca centrale europea, decisa a stroncare l’inflazione (dopo averne ampiamente sottovalutato la portata nel 2021) anche a costo di una recessione più marcata nei Paesi dell’area euro. Nella sua riunione del 15 dicembre, il Consiglio direttivo ha stabilito di aumentare di 50 punti base tutti e tre i propri tassi, come previsto; ma allo stesso tempo ha dato un’indicazione da “falco” per il futuro, preannunciando ulteriori rialzi ad un ritmo costante. Il tasso di rifinanziamento (main refinancing operations), arrivato al 2,5%, dovrebbe essere rivisto verso l’alto per due volte nel primo trimestre 2023, con due ulteriori mosse da 0,50.
EMISSIONI PROGRAMMATE
Ecco quindi che nel 2023 la base di partenza sono i quasi 260 miliardi di scadenze al netto dei Bot, e i circa 90 di fabbisogno del settore statale stimato. Queste grandezze non si trasformano automaticamente in emissioni da programmare, perché i prestiti europei e la gestione delle disponibilità di cassa consentono margini di flessibilità: la previsione di collocamenti a medio-lungo termine oscilla dunque entro una forchetta che va da 310 a 320 miliardi. Nelle linee strategiche rientra il mantenimento di una particolare attenzione agli investitori al dettaglio, e dunque anche alle famiglie italiane interessate a trovare sbocchi convenienti per i propri risparmi. Accanto ai Btp Italia e ai Btp Futura, il Tesoro potrebbe ricorrere a nuovi strumenti «che possano risultare di interesse per il pubblico dei risparmiatori retail, tenuto conto di un contesto di tassi nettamente più elevati rispetto anche al recente passato». Davide Iacovoni, dirigente generale del ministero dell’Economia responsabile per il debito pubblico, ha specificato che l’innovazione potrebbe passare anche da emissioni di Btp tradizionali dedicate ai piccoli risparmiatori. Magari caratterizzate da qualche elemento più appetibile per loro.
ANNI OTTANTA
L’obiettivo è quello enunciato dal ministro Giorgetti in Parlamento, in una fase in cui si registra una ripresa dell’interesse di questa platea: provare a riportare la quota di risparmiatori domestici a valori almeno più vicini a quelli degli anni Ottanta. Allora si navigava sopra il 20 per cento anche grazie agli alti rendimenti e a un mercato finanziario relativamente poco sviluppato, in cui la scelta di Bot e Btp per molti era quasi naturale. L’inversione di tendenza rispetto alla caduta iniziata circa 30 anni fa c’è stata già nel corso di quest’anno. Il governo vuole andare avanti. «Dal punto di vista della gestione del debito pubblico, l’incremento della quota di debito detenuta direttamente dai risparmiatori italiani costituirebbe un importante fattore di riduzione della volatilità dei rendimenti, agendo da stabilizzatore delle fluttuazioni tipiche nei momenti di maggiore stress finanziario» ha osservato Giorgetti, aggiungendo che «il design di prodotti specifici per il retail che abbiano anche forme di premialità e fidelizzazione per i risparmiatori che hanno già acquistato in emissione titoli di Stato e che detengano gli stessi fino a scadenza, è un elemento centrale nella complessiva strategia di gestione del debito pubblico».
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