Dal money transfer al sistema hawala, le nuove strade di evasione e riciclaggio

Dal money transfer al sistema hawala, le nuove strade di evasione e riciclaggio
Con la recente operazione “Cian Ba”, la Guardia di Finanza ha intercettato un colossale sistema di riciclaggio di proventi derivanti da evasione fiscale, commercio di prodotti...

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Con la recente operazione “Cian Ba”, la Guardia di Finanza ha intercettato un colossale sistema di riciclaggio di proventi derivanti da evasione fiscale, commercio di prodotti contraffatti, illeciti doganali e sfruttamento della manodopera clandestina, che ha portato alla richiesta di rinvio a giudizio per ben 297 imputati e al sequestro di beni patrimoniali per 47 milioni.




Il sistema, basato su migliaia di trasferimenti tramite money transfer, con la complicità, secondo l’accusa, di una finanziaria di San Marino e di funzionari della Bank of China (banca presente in Italia fin dal 1996 e il cui azionista di maggioranza, attraverso la Central Huijin Investment, è lo Stato cinese), avrebbe dirottato in Cina 2,2 miliardi di Euro.



Per venti dei rinviati a giudizio sussiste anche l’aggravante di mafia. Insomma, non “semplici” reati finanziari, ma una vera e propria struttura criminale pronta a prosciugare il tessuto imprenditoriale. E alla base di tutto vi è spesso la clandestinità, che va ad ingrossare le file della manodopera a nero utilizzata dai cosiddetti confezionisti cinesi. I quali guadagnano anche con un altro trucchetto fiscale, peraltro incentivato dalle norme della madre patria cinese. Sull’enorme flusso del denaro dall’Italia alla Cina può infatti influire anche il fatto che il governo cinese concede un notevole credito di imposta a chi esporta tessuti.



Così le fatture in partenza dalla Cina sono sovrastimate (per incassare più credito di imposta), mentre quelle in arrivo in Italia sono sottostimate (per pagare meno Iva e dazi). Il destinatario, però, deve comunque poi pagare la differenza e lo fa appunto, a nero, attraverso i money transfer. Vi sono quindi ormai sacche di evasione fiscale che mettono a rischio non solo le entrate erariali, ma anche la stessa sopravvivenza del tessuto industriale sano. E l’operazione sopra evidenziata non è nemmeno la prima.



Già qualche anno fa c’era stata infatti un’operazione della Guardia di Finanza, chiamata, non a caso, “Cian Liu”, ovvero “Fiume di denaro”, che aveva messo in luce il pericoloso binomio evasione fiscale/riciclaggio. Il meccanismo era sempre lo stesso: un fiume di denaro indirizzato dall’Italia (tramite San Marino) verso la Cina, allora per quasi tre miliardi di Euro, movimentato tramite società di money transfer con sub agenzie sparse in tutta Italia.



Nel 2008, per comprendere l’entità del fenomeno, con la citata operazione Cian Liu, uno degli evasori coinvolti aveva dichiarato redditi per 17.532,00 Euro e intanto spediva in Cina 1.887.945,00 Euro. Un suo connazionale dichiarava reddito zero e spediva invece in Cina ben 832.000,00 Euro e così via fino ad arrivare ad una Srl, in perdita per 19.019,00 Euro, che, intanto, spediva tramite money transfer ben 2,518.000,00 Euro.



I canali attraverso i quali escono tali, enormi, flussi finanziari non sono del resto solo quelli “ufficiali”, come appunto anche i money transfer, sussistendo tutta una rete di canali informali. Si parla infatti in Cina di sistema Chop Shop, nel sub continente indiano di sistema Hundi, in ambito latino-americano di Stash House, quest'ultimo diffuso anche nel Nord America e nel mondo islamico di Hawala. Attraverso il sistema Hawala, per esempio, chiunque voglia trasferire una somma di denaro all'estero, senza avvalersi dell'opera di un intermediario legale, concorderà con un “banchiere” clandestino la commissione ed il tasso di cambio e, a fronte del versamento della somma da trasferire, riceverà una "ricevuta", o un segno (ad esempio un codice alfa-numerico, o un simbolo).



La presentazione di tale "ricevuta/segno" ad un corrispondente "banchiere", operante nel Paese straniero in cui si vuol far giungere la somma, consentirà poi il perfezionamento della transazione, senza che si sia neppure verificato lo spostamento del denaro. Successivamente, i due "banchieri" informali opereranno specifiche compensazioni. Insomma, neppure l’intercettazione dei flussi finanziari potrebbe essere sufficiente, ma senz’altro è un punto da cui partire. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero