Cina, doppia svalutazione dello yuan in 24 ore per rilanciare l'economia

Cina, doppia svalutazione dello yuan in 24 ore per rilanciare l'economia
L'economia cinese frena, i flussi di capitali se ne vanno e Pechino, pur rischiando l'avvio di una nuova guerra delle valute, cerca di correre ai ripari svalutando la...

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L'economia cinese frena, i flussi di capitali se ne vanno e Pechino, pur rischiando l'avvio di una nuova guerra delle valute, cerca di correre ai ripari svalutando la moneta e allentandone l'aggancio con il dollaro in ascesa.




La Banca centrale cinese, con una nuova mossa a sopresa, ha abbassato per il secondo giorno consecutivo il valore di riferimento dello yuan rispetto al dolloro. Dopo il taglio dell'1,9% di ieri, oggi Pechino ha ridotto di un altro 1,62% la banda di oscillazione giornaliera dello yuan, già scesa ieri ai minimi da tre anni.



La decisione di Pechino ha mandato in rosso i mercati azionari europei, a partire da Francoforte, dove anche i titoli dei gruppi automobilistici, che hanno puntato molto sulla Cina, hanno accusato forti perdite assieme a quelli del lusso e delle materie prime. Questi ultimi trascinati al ribasso dal crollo del petrolio, ai minimi da sei anni a questa parte a 43 dollari al barile.



La Banca centrale di Pechino è intervenuta dopo che l'ancoraggio al dollaro ha portato una rivalutazione della moneta in linea con il rafforzamento del biglietto verde e colpito duramente negli ultimi mesi le esportazioni del paese asiatico. La mossa ha infatti lo scopo dichiarato di rivitalizzare l'export della seconda economia al mondo e di abbassare i costi di finanziamento.



L'agenzia di stampa cinese Xinhua, voce ufficiale del governo di Pechino, tuttavia nega che la svalutazione dello yuan abbia come obiettivo quello di sostenere l'export del colosso asiatico, sempre più in affanno. Le accuse di una manovra finalizzata ad acquisire vantaggi commerciali «non regge», afferma un commento dell'agenzia, mentre le preoccupazioni che stia avviando una "guerra delle valute" sono «esagerate». La svalutazione dello yuan è invece il risultato di riforme che mirano a rendere la valuta cinese più orientata verso il mercato, sostiene Pechino.



Dopo la debacle sui mercati azionari cinesi di luglio, fermata a stento e alla prese con una massiccia fuga di capitali, in ogni caso la banca centrale ha sorpreso il mercato decidendo l'altro ieri la maggiore svalutazione degli ultimi vent'anni seppure contenuta in termini assoluti e dopo aver nei giorni scorsi consumato parte delle riserve per tenerne fermo il livello. Pechino ha infatti due obiettivi per il cambio a volte confliggenti: favorire le esportazioni ma frenare anche il deflusso di capitali.



Ieri la mossa di Pechino era stata definita 'una tantum' ma la stessa Banca aveva aggiunto che da ora in avanti il cambio (fissato con rigidità ancorandolo al dollaro con solo un'oscillazione del 2%) terrà conto di più dei meccanismi di mercato aprendo quindi la strada a un ulteriore deprezzamento.



La svalutazione serve per cercare di rilanciare l'economia mentre il colosso asiatico sta decisamente rallentando. Non solo il dato sul Pil cresciuto del 7% nel trimestre e le esportazioni in rallentamento ma anche tutta una serie di indicatori sui consumi, immatricolazioni, investimenti e import mostra l'affanno cinese. Una situazione che la banca centrale ha provato a invertire pompando denaro e tagliando i tassi abbassando però così il ritorno sugli asset in yuan e favorendo una fuga di capitali che il prossimo rialzo dei tassi della Fed Usa avrebbe solo intensificato.



La soluzione poteva essere una svalutazione ancora più massiccia del cambio ma questo avrebbe significato il fallimento di molte aziende locali con debito in dollari come le compagnie aeree o telefoniche (già oggi bastonate in Borsa) e disfare il lavoro politico per uno yuan "alternativo" al dollaro ed euro sui mercati mondiali e si è scelta quindi una strada più graduale.



A risentire della svalutazione sono quindi subito i prezzi delle materie prime: petrolio e minerali fino a ora inghiottiti in maniera crescente dalla "fabbrica del mondo" ma in alto della catena soffrono sui

mercati occidentali i produttori dei beni di lusso richiesti della nuova oligarchia cinese: auto, moda e gioielli.



Per Stephen Roach, già boss di Morgan Stanley in Asia, non basta una svalutazione per rimediare al calo dell'export in un contesto globale debole. La mossa inoltre rischia di far scattare una "guerra di valute" fino a ora limitata a una guerriglia che ha visto scendere anche le monete di Australia, Sud Corea e Singapore. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero