Sono più di duecentomila i cig-workers italiani: il 42% lavora senza contratto e tutele

Sono più di duecentomila i cig-workers italiani: il 42% lavora senza contratto e tutele
La cifra è decisamente è più bassa rispetto alle stime recenti di altri autorevoli istituti. Ma comunque resta un numero più che considerevole: i...

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La cifra è decisamente è più bassa rispetto alle stime recenti di altri autorevoli istituti. Ma comunque resta un numero più che considerevole: i gig-workers italiani sono 213.000. Lo ha affermato Paola Nicastro, direttore generale dell'Inapp, l'Istituto nazionale per l'analisi delle politiche pubbliche, nel corso dell'audizione alla commissione Lavoro della Camera dei deputati.  «Il lavoro sulle piattaforme si è notevolmente diffuso anche nel nostro Paese. I gig workers italiani, in base ad una nostra indagine, sono 213.150. Il problema è che il 42% di questi lavorano senza un vero e proprio contratto e il 19,2% con un contratto di collaborazione» ha dichiarato. Gli ormai noti, riders ma non solo. Sono tanti i lavori che avvengono attraverso le piattaforme digitali. 


L'indagine Inapp plus (participation, labour, unemployment, survey) è basata su un campione di 45mila individui residenti in Italia fra i 18 e 74 anni e rappresenta la prima mappatura della gig economy un modello molto eterogeneo, difficile da tracciare, basato sull'esternalizzazione delle mansioni ma che ha un trend occupazionale crescente.  «A differenza - ha proseguito Nicastro - di quanto si tende ad immaginare la composizione per titoli di studio è variegata infatti il 47% di loro ha un livello di scuola secondaria superiore e il 16% ha un livello d'istruzione terziaria. Dei lavoratori della gig economy il 39% di chi svolge questo lavoro ha già un'occupazione mentre dal punto di vista dell'importanza del reddito circa la metà lo considera essenziale per soddisfare le proprie esigenze». 
La cig economy ormai riguarda una molteplicità di lavoratori che attualmente non godono di standard uniformi, della giusta protezione sociale né di un'adeguata retribuzione. «Anche se il decreto legge 101/2019 - ha spiegato il direttore generale dell'Inapp - ha fissato alcune regole sul lavoro on demand con l'intento proprio di tutelare e assicurare protezione economica e normativa ai lavoratori impiegati nelle attività di consegna di beni per conto altrui». «Bisogna poi riflettere - ha chiarito - su quanto è accaduto in California, dove la gig economy è nata, lì il Senato ha appena approvato una legge secondo cui i lavoratori delle aziende della gig economy non devono essere considerati lavoratori indipendenti ma dei dipendenti a tutti gli effetti con diritto al salario minimo, al congedo parentale e all'assicurazione contro la disoccupazione».

Secondo una recente indagine  della Fondazione Debenedetti e Inps i cig-workers sarebbero molti di più: un milione e settecentomila.  Il 50 per cento dei gig-worker sono donne, solo il 3 per cento sono immigrati; per 150-200mila di loro si tratta del lavoro principale e per almeno 350mila persone di un lavoro per “arrotondare” altri introiti.

Il decreto legge sulle crisi di impresa, uno degli ultimi provvedimenti varati dal governo precedente, prevede l'estensione di alcune tutele a questa categoria di lavoratori. E' attualamente all'esame delle Camere per la conversione in legge.
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Il Messaggero