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Dopo l’anno della ripresa degli utili e dei rendimenti rotondi, il 2022 sarà l’anno del consolidamento e della transizione.
Non solo verso una realtà economico-finanziaria post-Covid, ma anche verso una crescita e una reflazione oltre le attese, una politica monetaria più ordinaria e rendimenti più moderati sui mercati finanziari, mentre il mondo guarda sempre più alla sostenibilità. Non sarà facile però individuare le opportunità. Dunque, per navigare tra tassi e inflazione meglio puntare sulla qualità. E anche se è bene puntare sull’equilibrio del portafoglio, non mancano le azioni che potranno dare soddisfazioni. L’aumento dei rendimenti obbligazionari dovrebbe favorire i titoli di fine ciclo e le cosiddette “value”, più stabili e legate al Pil (soprattutto in Europa e Asia). Ma date le complessità a livello macro, meglio un approccio più cauto, dando la priorità ai titoli difensivi (quality, Esg, digital economy) accanto ai ciclici, suggerisce Hsbc. E attenzione alla volatiltà: centrare certi guadagni significa dover mettere in conto più rischi.
LO SPETTRO DI OMICRON
Per “dosare” le scelte in modo proficuo, gli esperti di Credit Suisse partono dalla consueta caccia ai cigni grigi, quegli eventi possibili e noti, potenzialmente significativi, ma non molto probabili, da cui conviene comunque guardarsi. Per cominciare, non si può escludere la diffusione massiccia di Omicron. Se diventasse la variante dominante, potrebbe mettere minare la validità di terapie con gli anticorpi, gli antivirali, l’efficacia stessa dei vaccini. Perciò, fino a quando i governi graviteranno attorno all’obbligo vaccinale e al trattamento del Covid come endemico, ovvero la convivenza col virus nelle economie aperte, secondo Credit Suisse gli asset del rischio sono destinati ad attraversare periodi di volatilità. Il che non significa ignorare le opportunità. Il secondo cigno grigio è, invece, la normalizzazione più rapida delle attese della politica monetaria. In questo caso, basta mitigare il rischio investendo in strumenti del reddito fisso a tasso variabile per attutire l’impatto negativo di una normalizzazione monetaria più celere. La contesa tra Russia e Ucraina è tornata sul palcoscenico geopolitico mondiale ormai da settimane. In caso di escalation delle tensioni, tra le reazioni a breve termine c’è un altro brusco aumento dei prezzi del gas e un impatto negativo sugli asset del rischio oltre a un rally dei beni rifugio. Uno scenario che richiede due coperture naturali: il franco svizzero e lo yen giapponese. Infine, la crisi dell’energia. L’impennata dei prezzi di petrolio e gas rappresenta un cigno grigio di per sé. E non importa se si verificherà a causa di fattori geopolitici o delle dinamiche del settore energetico (come un ulteriore drastico calo dell’offerta di energia fossile). Peraltro, prezzi del petrolio superiori a 100 dollari al barile creerebbero uno choc globale che insieme alla morsa Covid intaccherebbero la fiducia dei consumatori in maniera significativa, oltre a mettere le banche centrali all’angolo. Il risultato sarebbe un contesto di stagflazione. Le materie prime energetiche, i titoli azionari e le valute sarebbero alcuni dei pochi beneficiari in tale scenario.
IL MEDIO TERMINE
Più in generale, però, le condizioni macroeconomiche restano favorevoli alle azioni nel medio termine. «Manteniamo l’orientamento ciclico nei portafogli», dicono da Credit Suisse, confermando un moderato sovrappeso sulle azioni.
ORO E DINTORNI
Un portafoglio bilanciato non può non tener conto delle materie prime dopo le ultime settimane di turbolenza e gli indici di riferimento in ritirata dai loro massimi di ottobre. La nuova ondata di incertezza da Covid ha pesato, specialmente sul petrolio, mentre la volatilità dei mercati del gas e dell’energia resta straordinariamente elevata. «L’oro non è riuscito a beneficiarne», osservano da Credit Suisse, «con le banche centrali che sembrano andare avanti coi loro piani di inasprimento della politica monetaria». Il profilo rischio/rendimento resta attenuato da una prospettiva di pura performance. In ogni caso le materie prime continuano a offrire copertura contro l’inflazione. Chi è a caccia di opportunità può guardare anche alla Cina. Soprattutto dopo lo scossone indiscriminato sui mercati scatenato da interventi legislativi che hanno penalizzato in particolare il settore tecnologico. Il settore privato continuerà infatti ad avere un ruolo cruciale nell’assicurare che l’economia cinese continui a innovare e prosperare. Le società, spiega Nicholas Yeo, responsabile azionario Cina di Abrdn Investment, saranno in grado di adattarsi ai cambiamenti normativi e di allinearsi agli obiettivi politici in aree quali l’innovazione digitale, la tecnologia verde, l’accesso a un’assistenza sanitaria a prezzi contenuti e la maggior diffusione del benessere. Cinque, dunque, le direttrici per investire in Cina nel 2022. In prima linea i consumi, in un Paese che punta a un modello economico autosufficiente guidato più dai consumi interni che dalle esportazioni. Poi c’è il digitale, un altro fronte importante di crescita. Sono da preferire i nomi legati al software in aree come la sicurezza informatica e i servizi cloud, elementi importanti anche per la sicurezza nazionale.
OCCASIONI E RISCHI IN CINA
Passando al tema green, tanto caro alle politiche di decarbonizzazione promesse, la Cina domina la capacità produttiva globale per l’energia rinnovabile e lo stoccaggio, rappresentando il 90% del solare e il 75% delle batterie. Tra le top picks i produttori di pannelli solari, di componenti, di batterie e relativi componenti, aziende legate all’automazione e all’aggiornamento delle reti elettriche. Poi la spinta al settore salute e ai servizi finanziari. Di qui la scommessa su società che favoriscono lo sviluppo di un mercato dei capitali solido, tra cui consumer banking di qualità e società di software che supportano il trading e la gestione del portafoglio. Eppure per Jens Ehrhardt, fondatore e presidente di Dje Kapital Ag, il cigno nero del 2022 potrebbe essere il Dragone tra il rischio di impoverimento dell’economia non più trainata dall’immobiliare e i timori per una strategia zero-covid che rendono meno solido il Pil.
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