Banca Popolare di Bari: piano in aprile ed entro l'anno diventerà una spa

Banca Popolare di Bari: piano in aprile ed entro l'anno diventerà una spa
Una situazione di bilancio con «evidenti difficoltà», che impone ai commissari di spingere sull'acceleratore del salvataggio della Popolare di Bari. Con una...

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Una situazione di bilancio con «evidenti difficoltà», che impone ai commissari di spingere sull'acceleratore del salvataggio della Popolare di Bari. Con una «road map» i cui contorni cominciano a definirsi: piano industriale entro aprile, poi via verso la trasformazione in spa entro l'anno. La schiarita sulle tappe dell'operazione arriva dopo una raffica di audizioni alla Commissione Finanze della Camera sul Dl 142 del 2019 per il sostegno al sistema creditizio del

Mezzogiorno: definito da alcuni dei parlamentari presenti un salvataggio della Popolare «mascherato» da provvedimento di sistema per il Sud, ritenuto invece necessario per sanare il gap
di un credito più difficile e costoso nelle regioni meridionali da Domenico Arcuri, ad di Invitalia che interverrà tramite Mcc: «l'intervento muove dalla soluzione di una crisi molto profonda di un istituto, ma può portare alla costruzione di un percorso diverso».

Confermati gli 1,4 miliardi di euro necessari al risanamento della Popolare, con i commissari al lavoro sulla due diligence che contano di ultimare entro marzo, è previsto un piano industriale entro metà aprile, quando dovrà essere sottoscritto l'accordo di co-investimento fra Mcc e il Fondo di garanzia dei depositi (Fitd). Poi - ha spiegato Arcuri - «entro il 30 giugno è previsto che sia svolta l'assemblea, sia stata trasformata la banca, definito l'aumento capitale e adottato un nuovo statuto, e si immagina che entro il 30 settembre o intorno a tale data, o comunque entro fine anno, si possano ottenere tutte le autorizzazioni» e «avviare una nuova stagione».

Tappe serrate, per una banca che allo scorso anno vedeva un deficit di capitale di vigilanza di 300 milioni. La perdita 2018 era di 420 milioni, al 30 giugno scorso il rosso era di 73 milioni. E ulteriori «perdite certamente ne emergeranno», non fosse altro per smaltire i crediti in sofferenza, come spiega il presidente del Fitd Salvatore Maccarone. Enrico Ajello, commissario straordinario della banca assieme ad Antonio Blandini, non nasconde poi le «difficoltà oggettive» di una banca che, data l'erosione del capitale, non è riuscita a diminuire il peso degli Npl sul totale dell'attivo.
Rafforzamento patrimoniale dunque «indispensabile» - spiega Blandini - con l'intervento da 310 milioni con cui il Fitd, a fine dicembre, ha colmato il deficit di capitale (impegnandosi a intervenire fino a 700 milioni) per dare ossigeno ai commissari e preservare l'accesso alla liquidità della Bce.
Tanti i paletti per il salvataggio: nell'accordo quadro sottoscritto fra Mcc e il Fitd, è richiesto che siano legge il Dl e i decreti attuativi, che siano fatti il piano industriale e il «derisking». Che si sia definita la copertura delle perdite precedenti: andranno al Fitd e al capitale esistente, spiega Maccarone, mentre Invitalia «non può, non vuole e non si occuperà» dice Arcuri. E ancora, che l'assemblea dei soci dia il via libera alla trasformazione in spa. Nel mezzo ci sono i dipendenti, con la previsione di 900 esuberi su un organico di oltre tremila che allarma i sindacati sentiti anch'essi alla Camera e concordi sulla necessità di intervenire.


«Ci sono 3200 lavoratori che non solo hanno fatto quel sacrificio, ma devono avere alcune sicurezze e la banca d'investimento per missione alcune di queste non le dà perché ha necessariamente un organico inferiore», spiega Gianna Fracassi, vicesegretaria generale della Cgil. Giulio Romani, segretario confederale Cisl, avverte che gran parte dei 900 milioni saranno assorbiti da coperture e cessioni degli Npl, lasciando ben poco per l'utilizzo del fondo esuberi. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero