La cooperante vittima di violenza nel Sud Sudan: «Ho vinto la mia battaglia e combatto per le altre»

La cooperante vittima di violenza nel Sud Sudan: «Ho vinto la mia battaglia e combatto per le altre»
«Mi sono battuta in tutti questi anni perché la violenza sessuale usata come arma di guerra fosse sempre e ovunque punita. Ho vinto la mia battaglia personale e...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
159,98€
40€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA MIGLIORE
ANNUALE
79,99€
19€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
 
MENSILE
6,99€
1€ AL MESE
Per 6 mesi
SCEGLI ORA

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
6,99€
1€ AL MESE
Per 6 mesi
SCEGLI ORA
ANNUALE
79,99€
11,99€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
2 ANNI
159,98€
29€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 6 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno

«Mi sono battuta in tutti questi anni perché la violenza sessuale usata come arma di guerra fosse sempre e ovunque punita. Ho vinto la mia battaglia personale e continuerò a lottare per chi non può farlo». Sabrina Prioli è stata stuprata cinque volte, percossa e torturata per un giorno e mezzo dai militari dell'esercito del Sud Sudan dove era in missione come cooperante. Dopo sei anni ha ottenuto il risarcimento dallo stato africano. «Anche se è molto lontano da quanto avevo chiesto, considero la riparazione economica una vittoria. Ho accettato per una questione di principio e perché stremata. Continuerò a battermi per far capire che le violenze sessuali in guerra esistono e sono usate come arma. Non se ne parla abbastanza, ma sono come proiettili che distruggono tutto. Le vittime nella maggior parte dei Paesi del mondo non possono fare quello che ho fatto io. Questa sarà la mia missione, far sì che le donne continuino a denunciare».


LA VICENDA
Il 7 luglio 2016 Sabrina Prioli, sociologa aquilana di 46 anni, è a Giuba per un progetto di pacificazione, con l'impresa multinazionale Management System International che lavora per le missioni di cooperazione Usa. Scoppia la guerra civile lampo tra le truppe governative di Salva Kiir e quelle di opposizione di Riek Machar. Il gruppo, ospitato in un compound della compagnia inglese certificata dalle Nazioni Unite resta isolato sotto le bombe per una settimana. «Al settimo giorno sono arrivati i soldati della Spla, l'esercito governativo. Mi hanno violentata e torturata, massacrata la schiena colpendomi con i fucili, hanno anche tentato di uccidermi con il ddt, come me altre cooperanti. Finché non sono arrivati altri soldati a liberare gli ostaggi».
Le violenze lasciano ferite mai guarite. «Mi hanno rotto il timpano, ho problemi neurologici alla schiena, soffro tuttora di stress post-traumatico. Hanno distrutto la mia vita, ho perso il lavoro e la dignità. Ci ho messo anni per ritrovare me stessa». E poi la lunga battaglia per ottenere giustizia. «Mi sono battuta per il diritto di essere risarcita. Ho preteso di poter testimoniare davanti la Corte Marziale del Sud Sudan, che il caso della violenza sessuale fosse aperto: ho parlato per sei ore, mi trattavano da colpevole». Il 6 settembre 2018, la Corte Marziale ha condannato due soldati all'ergastolo, altri otto a pene dai 7 ai 14 anni di carcere. Ma la sentenza ha stabilito solo 4mila dollari di risarcimento alle vittime di violenza. «Inaccettabile, ho rifiutato quella cifra. Era stata riconosciuta a tutti e non per violenza sessuale. Ho continuato la mia battaglia, da sola, e adesso a distanza di sei anni sono stata risarcita con una cifra superiore, anche se non posso rivelare i termini dell'accordo ottenuto. La cosa più importante è che sia stata ammessa la responsabilità della violenza sessuale. La vera vittoria è questa».
LA NUOVA VITA

Dopo le violenze Sabrina ha lasciato la cooperazione. «Adesso accompagno le donne attraverso il coaching, lavoro molto con le vittime di violenza e abusi, capisco il loro percorso che è stato anche il mio. Le aiuto a ritrovare la voglia di vita che è stata loro strappata, a sentirsi se stesse e ricominciare. Seguo gratis quelle che non si possono permettere di pagare il coach». Tutta la sua storia è stata raccontata nel libro Il viaggio della fenice. «E adesso ne sto scrivendo un altro sulla vittimizzazione secondaria. Il concetto è che la violenza sessuale non ha mai fine, si continua a essere violentate dall'opinione pubblica, dalle istituzioni e da tutta la società. A me dicevano: perché insisti? Perché non lasci perdere? Invece le donne si devono battere, devono far sentire la propria voce anche quando si pensa che nessuno le ascolti».
  Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero