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In tutto il mondo si discute su come l'arte, la letteratura, il teatro possano aiutare le donne nel loro cammino di emancipazione. Ma le vie dell'inferno, come si sa, sono lastricate di buone intenzioni. E adesso anche il teatro di un classico come Shakespeare è sotto tiro.
Gli oltranzisti della parità e dell'antirazzismo non vogliono più saperne del dramma della gelosia maschilista del nero Otello per Desdemona, o del sessismo misogino della Bisbetica domata, o le violente implicazioni coloniali di Prospero, nella Tempesta, verso l'unico abitante dell'isola, lo schiavo bugiardo Calibano.
Nel caso limite, in America si sospende il professore universitario che mostra agli studenti l'Otello interpretato da Laurence Olivier col viso imbrattato di pece, perché irrispettoso dei neri. Nei casi ordinari, si sopprimono direttamente i corsi su Omero e sul teatro elisabettiano, perché fuori linea rispetto ai valori di oggi, non conformi ai nostri modi di vivere e alle nostre aspirazioni. È così che le opere di Shakespeare vengono boicottate, perché considerate razziste, sessiste, colonialiste. Di recente, persino il Globe Theater, lo storico teatro londinese dove recitò la sua compagnia, ricostruito nel 1997, ha allestito una serie di seminari antirazzisti per sviscerare le opere del Bardo, e rileggerle in chiave anti colonialista o attraverso una lente femminista, esaminando i personaggi alla luce della loro rappresentazione. E pazienza se così facendo, si rischia non solo di decontestualizzare i capolavori del passato, ma di farli risultare talmente problematici da essere indigesti, col risultato di eliminarli del tutto dal cartellone oltreché dai corsi universitari. Pazienza per gli ignari che verranno dopo, ma così va il mondo.
REVISIONE
Il fatto grave è che la pretesa di uniformare il passato al presente, e di riscrivere il passato coi criteri del presente priva il presente del suo spessore e della sua stessa cifra. Come si fa a capire a che punto siamo arrivati e il valore delle conquiste raggiunte se pervicacemente si ignora la strada compiuta? Urge allora domandarsi se sia giusto in nome del radicalismo democratico fare tabula rasa dei capolavori di un'epoca remota. Siamo davvero sicuri che la causa della donne progredisca se cancelliamo tutti i casi di sopraffazione, violenza e misoginia descritti dai classici in quanto non in linea con lo standard di oggi?
Tema incandescente, anche se in Italia resta sottotraccia.
CLICHÈ
«Colei che chiamiamo madre accoglie e nutre la vita seminata in lei, ma non la crea, il vero genitore è colui che dà il seme». Dovremmo per questo sospendere le recite? Bandire l'Orestea? Assurdo, quando invece proprio per riconoscere la strada compiuta nel corso dei secoli e meglio appropriarci delle conquiste raggiunte in termini di giustizia, eguaglianza, ed emancipazione, urge tornare ai classici, affrontarli e apprezzare la libertà con cui l'arte del teatro, pur veicolando un codice maschilista e un rapporto perentorio di dominio, insinui di continuo dubbi sconvolgenti.
È quello che succede, quando i tragediografi classici assegnano un primato morale alle figure femminili come Antigone, che si batte contro Creonte per assicurare al fratello una degna sepoltura, o come Giocasta che sfida il figlio riottoso che rifiuta di alternarsi al potere. Diversamente da quanto impone la polis, che esclude le donne dall'arena politica e dalla deliberazione, vietando loro persino di presentarsi in tribunale, il teatro antico spesso riconosce alle donne un ruolo chiave per contenere la violenza e contrastare gli abusi di potere.
Sono le donne che a teatro inventano la democrazia e trasmettono la civiltà, anche se poi finiscono relegate in casa a tessere la tela circondate da schiave. E allora ai militanti estremi della correttezza politica sarebbe utile ricordare che da che mondo è mondo l'arte e la rappresentazione godono di una libertà sconosciuta alla politica e al mondo della realtà. E che questa libertà va rispettata a oltranza e va a favore certamente della parità femminile.
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Il Messaggero