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Non ci sono solo le guerre dimenticate a produrre disperati. In Niger ci sono anche i gruppi di jihadisti che seminano il terrore, poi gli eventi climatici estremi e, adesso, il Covid. Tutto questo ha causato qualcosa come più di 500 mila tra rifugiati provenienti dalle zone di guerra al confine, e sfollati interni costretti a fuggire per la minaccia islamista. Praticamente tanti quanti sono gli abitanti della città di Genova. Senza contare che nel Sahel i numeri salgono fino ad arrivare a 3 milioni.
Chi veglia su questa massa di disperati, gestendo le forze umanitarie sul campo, coordinandosi con i governi locali e dando vita ai progetti di accoglienza è una romana di 60 anni con un curriculum lungo così. Nostra Signora dei Rifugiati: Alessandra Morelli da tre anni è a capo dell'Alto Commissariato Onu in Niger, zona chiave per controllo del fenomeno migratorio in Europa. Da Niamè comanda tutti gli uffici con un unico obiettivo: fare in modo che i piani dell'accoglienza per coloro che scappano dal Chad, dalla Libia, dalla Nigeria, dal Burkina, si accompagnino con il concetto dell'integrazione. Si deve partire da lì per neutralizzare la paura. «Nonostante le condizioni economiche critiche, il governo nigerino non ha mai chiuso le proprie frontiere alla marea umana in fuga per violenze, terrorismo, fame o eventi climatici estremi» racconta al telefono Morelli ormai abituata ad operare in uno scenario dove le donne non hanno grandi spazi di manovra.
«Mi sono battuta perché i profughi fossero dotati di case di emergenza, prefabbricati, costruzioni dignitose.
Alessandra in questi anni si è concentrata sui programmi per le donne e i minori, che sono la maggioranza delle persone in fuga. E' lei che per prima ha avviato l'operazione di evacuazione delle donne detenute nei lager della Libia, all'interno dei quali accade di tutto. Ora sono ospitate nelle strutture dell'Unhcr in Niger e vengono aggiustate' non solo nel corpo ma nella mente.
«E' difficile descrivere lo stato nel quale le abbiamo trovate. Segni di torture terribili, spaventose cicatrici. Cicche di sigarette spente sul corpo, l'impronta delle catene, sulla schiena le frustate, le gravidanze dovute alle violenze, le infezioni, le mutilazioni. Per chi viene evacuato dalla Libia e arriva in Niger è stato attivato un servizio per la cura mentale affidato ad un team di psichiatri e psicologi. «L'evacuazione delle prigioniere in Libia è iniziato tre anni fa. Il primo volo è stato possibile solo nel 2017. Ad oggi sono state salvate da morte certa almeno 3 mila persone, uomini e donne. Le donne sono quelle che hanno subito traumi importanti e vengono curate una ad una. I loro racconti sono inimmaginabili».
Dentro ai campi nigerini dei rifugiati Morelli cerca di garantire la sicurezza per chi vi abita. «La prima risposta alla protezione, sia delle donne che dei minori è data dalla nostra presenza di prossimità. Si lavora sulla loro permanenza e sui programmi specifici per la scolarizzazione, per la sanità. Le donne vengono accompagnate in ogni tappa, si cerca di fare capire loro quali diritti hanno. Si affrontano anche aspetti legati alla riproduzione e, con programmi specifici, il tema della infibulazione. La via della emancipazione femminile è lunga».
Alessandra Morelli lavora a stretto contatto con la Caritas per realizzare i corridoi umanitari. Al momento sono 700 le persone in attesa di partire dirette in Europa e in Canada. L'ultimo corridoio umanitario è stato tre mesi fa. Purtroppo il Covid ha rallentato tutto. Svariati i paesi che hanno offerto quote di accoglienza dal Canada alla Finlandia. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero