Ibukun Faluyi, la donna nigeriana al vertice della Epron: «La mia battaglia per pulire il pianeta»

In Nigeria - uno dei Paesi africani più colpiti dalle esportazioni illegali di rifiuti elettronici - è una donna, Ibukun Faluyi, a essere a capo del consorzio che...

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In Nigeria - uno dei Paesi africani più colpiti dalle esportazioni illegali di rifiuti elettronici - è una donna, Ibukun Faluyi, a essere a capo del consorzio che realizza lo smaltimento legale e certificato delle apparecchiature di scarto chiamate dai tecnici Raee. Vecchi televisori, telefonini, microonde, stampanti, schermi, lavatrici.


Laureata in Microbiologia e con un master in Gestione Ambientale nel Regno Unito, Ibukun, 41 anni, ogni giorno si misura con la grande sfida ecologica e-waste ai vertici della Epron, una società membro del comitato internazionale istituito nel 1992 per far fronte ai problemi ecologici più urgenti, e da poco partner italiano di Erion, un altro grande sistema consortile che opera contro il deterioramento del pianeta.


Quanto è difficile per una donna lavorare al vertice di un'azienda in Nigeria?
«Le donne, purtroppo, anche qui, per arrivare devono superare il doppio delle difficoltà rispetto agli uomini. Certamente stanno dimostrando capacità eccellenti, di competenza, di leadership e di management; e spesso riescono anche a emergere in settori in cui gli uomini hanno invece dimostrato di non avere competenze sufficienti».

 


Cosa possono fare le donne per proteggere l'ambiente?
«Tantissimo. Penso che abbiano un ruolo centrale. Sono grandi influencer e dovrebbero quindi assumere una posizione di guida, portando avanti iniziative non solo nell'ambito della protezione ambientale ma anche della formazione. Le donne possono utilizzare la loro posizione per sostenere attivamente cause importanti. Io, per esempio, mi sono battuta per aderire al Twinning Programme e ora siamo gemellati con Erion. La partnership migliorerà le nostre competenze e aiuterà ad implementare un sistema trasparente lungo l'intera catena del trattamento dei rifiuti elettronici».


Riesce a conciliare facilmente il lavoro con la famiglia?
«Lo ammetto, è faticoso ma non è impossibile. Considero importanti sia la famiglia così come la mia realizzazione personale. Per tenere assieme tutto cerco di essere il più organizzata possibile: si tratta di trovare un equilibrio. Pianifico quindi tutte le attività in anticipo, mi affido a promemoria personali e lavorativi in modo da armonizzarli con gli eventi familiari. Seguo gli impegni di mia figlia che ha 10 anni, coinvolgo i membri della famiglia il più possibile nelle iniziative del consorzio per cui lavoro. Ad esempio, nel 2020, mia figlia ha partecipato alla campagna Pass it On lanciata in occasione della Giornata Internazionale dei rifiuti elettronici. In questa occasione i bambini di tutto il mondo hanno realizzato un video invitando i cittadini a dare una seconda vita ai dispositivi elettronici. Questo ha reso mia figlia più interessata e partecipativa. Inoltre, cerco di delegare e responsabilizzare il più possibile e questo mi dà l'opportunità di bilanciare le cose».

 


A che punto è la condizione delle donne nel suo paese?
«A causa della diversità culturale esistente, le donne nigeriane affrontano sfide diverse da una provincia all'altra. Tuttavia ci sono questioni di genere - peculiari delle nazioni africane che accomunano tutte le zone. Per esempio le sfide tribali. Generalmente le donne non sono autorizzate a parlare o detenere titoli studio, non sono autorizzate a ereditare o gestire aziende familiari. In molte comunità non hanno voce e non sono autorizzati a esprimere le proprie opinioni. Poi sono spesso vittime di abusi, sono costrette alla prostituzione, finiscono nella rete delle droghe. Non è facile. A volte invece sono private dell'opportunità di ricoprire posizioni di leadership nei ruoli che meritano. C'è ancora molto maschilismo».


Anche a lei è capitato?
«È successo una volta che un uomo mi dicesse che le donne non sono in grado di ricoprire cariche di rilievo perché troppo emotive. I capi piuttosto che supportarle nell'adempimento dei loro ruoli, cercano di intimidirle spingendole anche a lasciare le loro posizioni».


Il mondo del lavoro è dunque pieno di squilibri...
«In generale le probabilità di successo per le donne in Nigeria sono basse e così come sono poche le tutele nei loro confronti. L'esempio più classico è associato alla maternità. Le aziende preferiscono assumere uomini e quando una donna rientra al lavoro dopo il congedo spesso viene demansionata e perde la considerazione del datore di lavoro».


Come pensa che si possa fermare la migrazione femminile nigeriana in Europa?
«L'immigrazione clandestina femminile, in particolare quella correlata alla prostituzione e al traffico di bambini, può essere ridotta solo attraverso un ampio sforzo in termini di attenzione alla educazione e alla istruzione. Sono necessarie azioni politiche, investimenti, riforme e uno strutturato programma che porti le donne nigeriane all'emancipazione. Solo così sarà possibile fermare questo fenomeno».


Le molestie sul posto di lavoro sono comuni?


«Il movimento #metoo penso sia una bellissima iniziativa con un obiettivo lodevole. Ma è difficile fare una stima sul fenomeno poiché qui le donne non parlano di queste cose dal momento che non ci sono istituzioni disponibili a supportarle».

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Il Messaggero