Israele, Angelica Edna Calò Livne: «Mi impegno per la pace. Lavorare sul palco può aiutare a educare al dialogo»

La scrittrice Angelica Edna Calò vive in un kibbutz: «È pericoloso ma resto qui, anche per proteggere le arabe»

Angelica Edna Calò Livne
C'è un gran silenzio, non si sentono più le grida di gioia dei bambini, è molto triste». Ascolta: <span style="color:#B22222">Il...

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C'è un gran silenzio, non si sentono più le grida di gioia dei bambini, è molto triste».


Angelica Edna Calò Livne, 68 anni, nata a Roma, vive nel nord di Israele al confine con il Libano. Educatrice, scrittrice, fondatrice della Fondazione Beresheet LaShalom - Un inizio per la pace, è rimasta nel kibbutz di Sasa in alta Galilea. 
«Eravamo in 450 siamo una trentina. È pericolosissimo, siamo a un chilometro dal confine ma ho i figli al fronte e mio marito impegnato qui. In questi 20 anni ho creato un metodo di educazione al dialogo attraverso le arti da palcoscenico, in piena Intifada un teatro multiculturale per ragazzi ebrei e arabi. Ora è tutto fermo, le persone sfollate, sparse per Israele». 
Ma lei va avanti, lo stesso.
«Con gioia e coraggio in questi giorni sto per pubblicare con la professoressa Silvia Guetta dell’università di Firenze il libro Laboratori e strategie di comunicazione attraverso le arti: sentieri verso la pace con noi stessi e con gli altri in accordo con l’università israeliana. Lo tradurremo anche in arabo, mi dà speranza. Quello che manca ora a Gaza è insegnare che cosa è l’educazione alla pace, al rispetto dell’altro e alla gentilezza».
Il lavoro di una vita va avanti.
«Mi tranquillizza, so che stiamo portando avanti un discorso, perché è veramente triste ciò che ci è successo Ma il nostro ruolo va valorizzato: la donna pensa in modo diverso dall’uomo, io non credo che quello che è successo il 7 ottobre sarebbe accaduto se c’erano 5mila donne e non 5mila terroristi».
La sensibilità che manca.
«Le donne pensano diversamente dagli uomini, forse perché ho 4 figli maschi, ma la cosa più importante è la maternità. È decisivo infondere come diceva Jung anche l’anima. È anche l’animo dei combattenti a Gaza, il senso di compassione, umiltà, dolcezza. Componente che dobbiamo infondere nei figli, il rispetto per gli altri. Altrimenti il mondo diventa solo violenza».
È ancora cosi?
«Sono felice perché in Israele c’è grande rispetto per donne, omosessuali, deboli. Le donne sono fondamentali, sanno confrontarsi, ascoltare, potrebbero cambiare tante decisioni e sono dispiaciuta che non ci sia una Golda Meier nel gabinetto della nostra sicurezza, che disse “io sono una statista non sono un militare”. Una donna non perde l’umanità».
Non ha perso fiducia in una pace possibile.


«Chi ci ha trascinato in questa orribile guerra è Hamas, in tv vedo donne palestinesi che gridano contro. Ho grandissima compassione, anche loro ostaggi di Hamas, vogliono solo vivere tranquillamente. E noi siamo qui, baluardo, per proteggere anche le donne arabe che stanno dall’altra parte dei confini». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero