Fotografa siriana racconta lo splendore della città vecchia di Damasco con un archivio digitale

Fotografa siriana racconta lo splendore della città vecchia di Damasco con un archivio digitale
Grazie a una giovane fotografa siriana, rinasce lo splendore perduto della città vecchia di Damasco. Prima della guerra civile che quasi dieci anni fa, era il marzo 2011,...

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Grazie a una giovane fotografa siriana, rinasce lo splendore perduto della città vecchia di Damasco. Prima della guerra civile che quasi dieci anni fa, era il marzo 2011, dilaniasse la Siria, distruggendo gran parte dei suoi tesori d’archeologia e d’arte, Damasco era una delle capitali arabe più belle al mondo: i suoi tessuti (il damascato), i suoi fiori (la rosa damascena), la sua cucina (il gelato al latte e pistacchi), l’avevano trasformata, nel corso dei secoli, in sinonimo di eleganza ed eccellenza.

Seppure non come Aleppo, Homs, Hama o Daraa, anche a Damasco sono andati distrutti numerosi edifici, tra cui centinaia di abitazioni tradizionali della città vecchia, caratterizzate da un cortile interno centrale con giardino e fontana. Ma grazie all’intuizione di una giovane fotografa il fascino di Damasco non è andato perduto.

Rania Kataf, 35 anni, è nata in Siria e ha studiato Food Science and Managment all’American University of Beirut (AUB), in Libano. La sua passione, però, è sempre stata la fotografia e il patrimonio storico artistico del proprio paese. Tornata a Damasco nel 2016, ha deciso di trasformare il suo interesse in una missione: testimoniare, attraverso gli scatti, ciò che era rimasto delle splendide abitazioni private andate distrutte o danneggiate durante la guerra. Non solo: integrando con fotografie dal passato ha creato un archivio digitale, in quella che è una preziosa memoria collettiva, un bene per tutti i siriani in patria e della diaspora.

Il suo gruppo Humans of Damascus è riuscito così a raccogliere oltre 22.000 immagini, crescendo su tutti i social, da Facebook a Instagram. «Sono stata ispirata dai fotografi europei che hanno cercato di documentare gli edifici nelle loro città durante la seconda guerra mondiale, in modo che gli architetti potessero in seguito ricostruirne una parte», ha dichiarato. E così il suo progetto sta andando avanti.

Grazie a lei si scoprono angoli inediti, come il quartiere ebraico, che era uno dei più belli di Damasco, perché – in passato – nella capitale siriana hanno convissuto lingue e religioni diverse, sunniti e sciiti, armeni e maroniti, ebrei e drusi. Dei 30.000-50.000 ebrei di Damasco oggi ne resta soltanto una dozzina e per questo le fotografie di Rania hanno ancora più valore, tanto che a Berlino era in programma una mostra, momentaneamente sospesa per la pandemia da Covid-19, ma che fa ben capire l’interesse, anche in Europa, per il suo lavoro in omaggio alla Damasco che fu.

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Il Messaggero