L'Antartide ha una geografia al maschile. Tra migliaia di vette e valli dedicate a esploratori e scienziati di tutto il mondo, pochissime hanno il nome di una donna. ...
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L'Antartide ha una geografia al maschile. Tra migliaia di vette e valli dedicate a esploratori e scienziati di tutto il mondo, pochissime hanno il nome di una donna.
Un solo ghiacciaio, sui 184 del Continente bianco, rende omaggio a un'italiana. È la ricercatrice Maria Chiara Ramorino, nata a Torino e romana di adozione. Amici e colleghi la chiamano Chiaretta. Si è laureata in Fisica, si è occupata di radioattività per l'Enea, in Antartide è andata per tre volte dal 1987. Ad aprile festeggerà 90 anni. Oltre che una donna di scienza, Chiaretta Ramorino è una donna di sport. «Il mio primo amore è stato il tennis», sorride. «Ho iniziato da bambina sull'asfalto di Villa Borghese. Non ero male, tra il 1955 e il 1959 ho vinto quattro medaglie d'oro alle Universiadi».
Dopo il tennis, la Ramorino è diventata una donna di montagna. Centinaia di arrampicate sulle Dolomiti e sul Gran Sasso, una passione per la scogliera di Gaeta, con le sue vie a picco sulle acque del Tirreno. D'inverno e a primavera lo scialpinismo, con salite a piedi e discese in neve fresca. E una decina di spedizioni, tra le Ande, l'Himalaya e il Sahara.
Oggi, nell'arrampicata sportiva e nell'alpinismo, le donne sono altrettanto numerose degli uomini. In passato le cose erano diverse, e nei rifugi, la sera, volavano battute da caserma. «Nessuno mi ha mai importunato, ma vari compagni di cordata non si fidavano a farmi salire da prima», ricorda Chiaretta. «Tutti, però, riconoscevano che ero brava. Nei corsi di roccia del Cai, gli altri istruttori consigliavano agli allievi di guardarmi scalare. Non lo ammettevano, ma il mio stile piaceva».
Nel 1993 Chiaretta Ramorino ha dato l'addio al verticale percorrendo lo Spigolo Giallo della Cima Piccola di Lavaredo, una celebre via di sesto grado.
«In una delle mie prime gite di scialpinismo sulle Dolomiti, in un canalone dove la neve era una lastra di ghiaccio, un amico più esperto si è girato, e ha detto a tutti che lì era vietato cadere, perché si rischiava di morire. Ho capito che bisogna seguire le regole, e quella lezione dentro di me c'è ancora».
Oggi Chiaretta fa qualche passeggiata nel quartiere, e attende che anche questa prova finisca. Pensare all'Antartide le dà buonumore. «Laggiù mi è stato dedicato un ghiacciaio, ed è un grande onore. Delle spedizioni del Cnr e dell'Enea ricordo che eravamo tutti uguali, dal meccanico al professore. Certo la base era affollata, e nessuno poteva aspirare alla privacy. Però dopo cena, mentre gli altri chiacchieravano e giocavano a carte, io uscivo da sola sul ghiaccio, a godere il panorama e a respirare. Era il momento più bello». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero