Napoli, Arianna suicida per i continui maltrattamenti: il compagno condannato a 19 anni

Napoli, Arianna suicida per i continui maltrattamenti: il compagno condannato a 19 anni
Si uccise per difendersi da un rapporto violento, all'insegna dei maltrattamenti, delle minacce e delle pressioni psicologiche. Si uccise per rivendicare, con l'ultimo...

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Si uccise per difendersi da un rapporto violento, all'insegna dei maltrattamenti, delle minacce e delle pressioni psicologiche. Si uccise per rivendicare, con l'ultimo anelito di vita, la propria statura morale rispetto a chi le aveva trasformato l'esistenza in un inferno. È l'ipotesi che ha spinto i giudici napoletani a condannare Mario Perrotta, riconosciuto responsabile della morte della sua ex convivente Arianna Flagiello: 19 anni di carcere (quinta sezione di corte di assise d'appello, presidente Rosa Romano, a latere Taddeo). È un verdetto di secondo grado, che conferma - almeno per ora - la responsabilità dell'unico imputato. Morte come conseguenza di maltrattamento: istigata a uccidersi per sfuggire alla morsa di violenza, secondo uno schema investigativo più unico che raro, anche in un panorama nazionale (uno scenario investigativo che ora attende un probabile ricorso per Cassazione da parte dei difensori dell'imputato, gli avvocati Vanni Cerino e Sergio Pisani).

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VERDETTO BIS
Ma torniamo alla sentenza giunta nella tarda mattinata di ieri. Diciannove anni, dunque: tre in meno rispetto al verdetto in primo grado, ma in questo caso i giudici hanno riconosciuto la responsabilità dell'imputato anche in relazione all'accusa di tentata estorsione (viste le presunte richieste di denaro che sarebbero state esercitate dall'imputato).
Un verdetto tutt'altro che scontato, data anche la difficoltà di entrare nelle pieghe di un rapporto di convivenza, poi segnato dal dramma di una scelta estrema. Agosto 2015, proviamo a ricostruire la scena, almeno secondo quanto emerso dai due processi celebrati fino a questo momento: ennesimo litigio che ha inizio in casa della madre di Arianna, che decide di raggiungere la propria abitazione, qualche piano più in alto dello stesso edificio. Minuti di disperazione: le urla di lui, il pianto di lei. Lei, Arianna: che apre la porta di casa, inseguita dalle urla di lui, poi apre il balcone e la fine.
In aula, sono risultate decisive le testimonianze della madre Angiola Donadio (parte civile, assistita dall'avvocato Pinchi Coppola e Marco Imbimbo), della sorella Valentina, delle colleghe di lavoro di Arianna e degli stessi amici della coppia.
Un peso lo hanno avuto anche i messaggi estrapolati dal cellulare della donna, come ribadito nel corso della sua requisitoria dal sostituto pg Giovanni Cilenti (che aveva chiesto una condanna a 24 anni), che raccontano il tentativo di Arianna di riaffermare la propria dignità di persona in un clima di pressioni psicologiche.
Commozione ieri in aula alla lettura del dispositivo. Spiega Valentina Flagiello: «Nulla potrà mai restituirmi il sorriso di mia sorella, ma il verdetto di oggi conferma il dramma vissuto da Arianna. Una sentenza, per quanto esemplare, non ti restituisce la persona amata, ma può rappresentare un esempio per spingere chi subisce un torto a rivolgersi alle forze dell'ordine e alla giustizia. Ci auguriamo che la sentenza diventi presto definitiva ed esecutiva, in modo da rappresentare un faro per chiunque non ha il coraggio di denunciare maltrattamenti e vessazioni».


LA STATISTICA


Spiega Angiola Donadio: «Nessuno può restituirmi mia figlia, ma è consolatorio, per una madre e per una famiglia intera, avere avuto giustizia». Soddisfazione delle altre parti civili (tra cui l'associazione Salute donna, guidata dall'avvocato Giovanna Cacciapuoti) e la criminologa Antonella Formicola, che ricorda un dato statistico, a proposito di femminicidi: «Dall'inizio dell'anno sono già venti le donne uccise in Italia, c'è da augurarsi che questa sentenza sia un monito e un deterrente in grado di scongiurare tragedie simili». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero