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Quando il «Dio del calcio» dava spettacolo allo stadio Fattori. Era il maggio del 1990, a poche settimane dall'inizio di quel Mondiale da «notti magiche» che regalò agli italiani grandi sogni e profonde delusioni. Fu proprio l'Argentina di Diego Armando Maradona a spezzare l'illusione azzurra di un titolo iridato che forse avremmo meritato. Ma l'improvvisa morte di El Pibe de Oro ha riportato tanti civitavecchiesi indietro nel tempo. A quella memorabile giornata in cui lui, si, proprio il calciatore più forte di tutti tempi, calcò l'erba allora naturale del campo di via Bandiera. Civitavecchia-Argentina, l'ultima prova sperimentale in vista di Italia '90 per la grande Albiceleste.
La squadra dell'allora coach Carlos Bilardo soggiornava in quel di Trigoria. Si presentò l'occasione per un test prima della competizione internazionale e Civitavecchia venne selezionata anche per la sua vicinanza. Nerazzurri che all'epoca militavano nel campionato interregionale, quella che oggi viene chiamata serie D. Con Bebo Melchiorri direttore generale e deus ex machina del calcio civitavecchiese. Fu lui tra i principali fautori e organizzatori di quell'indimenticabile evento. «Ricordo benissimo quei giorni frenetici, la passione della gente, la trepidazione di poter ospitare una squadra così importante, in cui militava il più grande.
Fra i testimoni di quel magico momento, il capitano dell'allora Civitavecchia Calcio, Fabrizio Biferari, oggi responsabile del settore giovanile della San Pio X. «Fu un'emozione incredibile, entrare in campo fianco a fianco a Maradona. Sono treni che passano una volta nella vita, uno spettacolo. Giocava con le scarpe slacciate, una cosa che ci colpì subito. Se le allacciò solo per calciare la punizione col quale segnò il 2-0. La prima rete invece la mise a segno Battista, anche se sui tabellini risultò Ruggeri. Mi ricordo la sua semplicità e la grande disponibilità a parlare con tutti, a scattare foto e a firmare autografi. Il gagliardetto dell'Argentina lo custodisco ancora come un cimelio».
Oggi l'allenatore dei nerazzurri si chiama Paolo Caputo, che quel giorno giocava in forza alla Vecchia come centrocampista. Lui, Maradona, lo aveva affrontato anche qualche anno prima, quando militava nella Pro Cisterna. «Il numero uno in assoluto, i campioni di oggi non ci si avvicinano neanche. Di quel giorno al Fattori mi ricordo la gioia dei tifosi, l'emozione che ci circondava e ovviamente anche la nostra. E poi lui, che entrò in campo un'ora dopo rispetto ai compagni di squadra perché aveva tre massaggiatori, due per le gambe e uno per il collo. La cosa che mi impressionò più di tutti fu il rispetto che tutti quanti avevamo per lui. E in quella squadra c'erano grandi campioni come Troglio, Caniggia, Balbo. E poi fu molto disponibile, capiva che quel giorno per molti di noi era il massimo. Infatti tutti abbiamo una foto insieme a lui. Una persona semplice e vera, in campo ci restò per quasi tutta la partita, ma non si sentiva mai».
Prima della gara, salendo le scalette che portano al terreno di gioco, si cimentò in una delle sue giocolerie preferite: un palleggio a piedi scalzi con una pallina da tennis. Era un altro calcio, un altro mondo. Senza social e nemmeno tatuaggi. Ma quel funambolo con la maglia numero 10 continuerà a fare magie nella scatola dei ricordi di chi ha avuto la fortuna di ammirarlo. In campo o in tribuna.
Il Messaggero