La coca sequestrata a Civitavecchia: parecchi i sospetti sui due arrestati

La guardia di finanza ispeziona i container (Foto Giobbi)
Sono molti i gravi indizi di colpevolezza inseriti all'interno dell'ordinanza del giudice per le indagini preliminari Paola Petti relativa all'arresto di Simone...

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Sono molti i gravi indizi di colpevolezza inseriti all'interno dell'ordinanza del giudice per le indagini preliminari Paola Petti relativa all'arresto di Simone D'Angelo e Manuele Scognamiglio. I due sono finiti in manette dopo il sequestro di 54 chili di cocaina destinati a Civitavecchia e intercettati dalla Guardia di finanza al porto di Gioia Tauro. La gip li ha messi tutti nero su bianco, evidenziando alcuni comportamenti dei due civitavecchiesi che, secondo gli inquirenti, alimenterebbero non poco i sospetti sul fatto che entrambi avrebbero dovuto prelevare la droga contenuta all'interno del container approdato alla banchina 25 dello scalo locale, che viaggiava su una nave proveniente dalla Colombia che trasportava banane.

Il primo sospetto: D'Angelo e Scognamiglio lavorano per una ditta di La Spezia, addetta alla manutenzione dei container. In pratica devono intervenire solo se c'è un problema al contenitore refrigerato e sistemarlo. Secondo il gip, quel container non aveva alcuna anomalia, per cui l'intervento dei due tecnici era del tutto ingiustificato. Il secondo: lo stesso titolare della ditta per cui lavorano D'Angelo e Scognamiglio avrebbe confermato, nel corso dell'interrogatorio in qualità di persona informata sui fatti subito dopo l'arresto dei due, che non era stato richiesto alcun intervento su quel container. Altro aspetto, quello legato alla tempistica. Da un lato, i due erano a fine turno, per cui non sarebbero dovuti essere loro a intervenire anche nel caso in cui ce ne fosse stato realmente bisogno. Ma soprattutto, una volta aperto il container, hanno subito richiuso e se ne sono andati. Se davvero fossero dovuti intervenire, non sarebbero andati via senza eseguire neppure un controllo.

E poi ci sono le intercettazioni. Gli inquirenti hanno in mano quelle registrate dal microfono piazzato all'interno del container, ma anche altri riscontri trovati nei cellulari dei due tecnici della ditta ligure, sequestrati subito dopo il loro arresto. Alcuni di questi punti, però, vengono contestati dagli avvocati difensori. Per esempio, il fatto che D'Angelo e Scognamiglio si siano allontanati da quel container subito dopo averlo aperto, è perché avevano notato il segnalatore, o forse il panetto di cocaina lasciato all'interno dalle Fiamme gialle dopo il sequestro di Gioia Tauro e che doveva fungere da esca. I due, spaventati dalla situazione, hanno preferito chiudere e andarsene. Le intercettazioni poi. Per i legali Matteo Mormino e Francesca Maruccio, a differenza di quanto sostiene il gip, soprattutto sui telefoni non c'è nulla. Ma anche quanto registrato del container non proverebbe niente. Infine, D'Angelo e Scognamiglio, sempre secondo i legali, sono entrati in quel container perché fa parte delle loro normali mansioni lavorative.
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Il Messaggero