Potrebbe sembrare una maledizione, è solo la 24 Ore. La corsa più appassionante, difficile e ambita sa anche essere cinica, dura, qualche volta spietata. La Porsche...
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Vedere i rivali, formidabili combattenti, ammirati e stimati, perdere due gioielli in pochi minuti (uno dei quali per una banale tamponata) è una scena dura da digerire per tutti. Guardare sul video le formidabili astronavi jap cercare di raggiungere i box pesantemente ferite è come un cazzotto nello stomaco. I due rivali si sfidano e si rispettano, reciprocamente; dicono il vero quando sostengono che non godono per le disgrazie altrui. I due giganti si confrontano sul mercato globale a colpi di oltre 10 milioni di veicoli venduti l’anno ed hanno deciso di incrociare i fioretti anche a Le Mans, le Olimpiadi del motorsport. E lo faranno anche in futuro.
Quest’anno il team Toyota non ha avuto lo sbandamento accusato nel 2016 quando la loro vettura in testa si fermò a pochi chilometri del traguardo. Anche perché a guidare la spedizione, per la prima volta, c’era il presidente Akio Toyoda che, senza una sbavatura, ha messo in pratica il suo credo e la sua filosofia: «le gare si vincono al traguardo, si può vincere o perdere, le competizioni servono per fare vetture sempre migliori». Akio è stato il protagonista assoluto, ha dato spettacolo prima e dopo la gara, con il suo carisma e la sua fortissima personalità.
È sceso sulla griglia di partenza con la tuta da pilota, la domenica mattina era ai box con la divisa del team sfoggiando lo stesso sorriso nonostante i sogni di gloria fossero svaniti prima dell’alba. Dopo la bandiera a scacchi ha fatto dire ai suoi uomini: «Quest’anno Le Mans non ci ha scelto, speriamo lo farà in futuro. Noi torneremo». Guardando i trofei Toyoda ha sicuramente pensato che prima o poi finiranno anche a Nagoya, magari pure quello più grande che viene definitivamente assegnato solo a chi vince per tre volte di fila. Proprio come ha fatto la Porsche. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero