Non c’è il clima delle Olimpiadi a Rio. Manca qualcosa per rendere questi Giochi indimenticabili, per farli diventare una manifestazione importante. Per essere...
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Certo, i campioni ci sono, ci si ricorderà delle prodezze di Bolt, di Phleps, di van Niekerk. Loro, gli atleti, vanno in campo e gareggiano ma il contesto non è quello giusto. Troppa è la disattenzione con la quale i Giochi sono gestiti, con impianti spesso nuovi ma non ancora terminati.
Ci sono, poi, scelte non condivisibili e su questo il Cio ha responsabilità enormi. Lo stadio dell’atletica, che deve essere il cuore di un’Olimpiade, è staccato da tutto, in una zona anche pericolosa, trascurato e non certo adatto a ospitare una competizione come questa. Nello stadio non c’è il tripode, il simbolo dei Giochi, fuori c’è un cantiere e ci si muove tra macchine in sosta lavori in corso.
I trasporti, si sapeva, sono il punto debolissimo dell’evento. Muoversi è complicato, si passano ore in taxi o sui bus per raggiungere le venus. Chi sta meglio e ha ogni comodità è, come sempre, la famiglia olimpica, quel codazzo di appartenenti tra membri Cio, invitati e amici, tutti negli impianti dediti non sempre alle gare ma al buffet.
Il Cio, dicevamo. Sette anni fa quando l’evento è stato assegnato a Rio, l’allora presidente dello sport mondiale, Jacques Rogge, voleva fortemente portare i Giochi in America Latina non essendoci una candidata sudafricana. Chicago, sponsorizzata dal presidente degli Stati Uniti Obama, non è stata ritenuta valida e lo stesso è stato per Tokyo, che pure aveva tutto pronto e che organizzerà le Olimpiadi del 2020.
Come al solito hanno pesato i contratti della televisione che hanno spostato l’ago della bilancia.
Per il futuro Bach, che guida il Comitato olimpico internazionale, deve svolgere un’operazione importante: ridare significato alle Olimpiadi riportandole in un ambiente più umano controllando passo passo il lavoro di chi le organizza. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero