Riforma del lavoro, purché sia quella buona

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Il presidente della Bce Mario Draghi chiede ad alcuni Paesi europei,...

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Il presidente della Bce Mario Draghi chiede ad alcuni Paesi europei, tra cui l'Italia, di riformare il mercato del lavoro. Ed in effetti da noi c'è una riforma in discussione in Parlamento, il cosiddetto Jobs Act, che segue altre misure già approvate recentemente per decreto. Ma interventi molto rilevanti sono stati adottati anche in passato, a partire dalla fine degli anni Novanta. Insomma sulla carta (tanta carta, quella delle leggi e dei relativi decreti attuativi che si sono succeduti) sembra che lo sforzo riformatore in questa materia non sia mancato. Ma il solo fatto che si continui periodicamente a parlarne - anche se indubbiamente la durissima e pluriennale recessione ha contribuito a cambiare il quadro - segnala che molti problemi non sono stati risolti. Lo stato dell'arte viene analizzato in un interessante studio del Dipartimento del Tesoro del ministero dell'Economia e delle Finanze. I quattro autori prendono in considerazione in particolare i provvedimenti del 1997, del 2003 e del 2012 evidenziando come le diverse riforme abbiano complessivamente ridotto la rigidità del mercato del lavoro, con l'obiettivo di creare occupazione ma con effetti definiti "controversi". In particolare le prime due (note come "pacchetto Treu" e "legge Biagi") incidendo di fatto solo chi doveva ancora entrare nel mercato del lavoro, i cosiddetti outsiders, hanno aumentato la segmentazione tra categorie con livelli di protezione diversa: insomma la flessibilità si è sostanzialmente scaricata sui giovani senza toccare gli insiders. Le norme più recenti approvate dal governo Monti, le cui conseguenze sono comunque ancora oggetto di verifica, avrebbero invece ridotto il dualismo solo "da un punto di vista formale". Ma al di là di queste valutazioni, lo studio sottolinea un altro aspetto: gli interventi per essere efficaci "vanno pensati in una logica di sistema". Concentrarsi su singoli pezzi rischia di risultare dispersivo e inefficace, tanto più quando l'attuazione delle norme è affidata a soggetti diversi (Stato, Regioni, Province). Si può aggiungere un'altra e più banale considerazione: visto lo sforzo che ogni modifica legislativa richiede alle imprese, alle amministrazioni e agli stessi cittadini interessati, è arrivato forse il momento di non procedere più a puntate e di disegnare uno scenario complessivo che possa resistere per un po' di anni. Senza bisogno di altre riforme delle riforme.
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Il Messaggero