Ricordo di David Carr, il giornalista che visse due volte

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Quando il New York Times ha annunciato via Twitter la morte del suo...

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Quando il New York Times ha annunciato via Twitter la morte del suo grande editorialista David Carr, 58 anni e un turbolento passato, a raffica sono arrivati tutti gli altri. Perche'Carr non era soltanto il piu'autorevole esperto di media americani, era anche un collega preso sul serio dagli altri giornalisti. E nel nostro mestiere non e'scontato. Scriveva di giornalismo, non era ne' banale ne' in cerca di complicita'. Colleghi e capi dei media lo temevano quanto lo rispettavano. L'ho conosciuto a Roma nel dicembre scorso quando organizzammo la conferenza State of media, col Centro Studi Americani e la collaborazione dell'ambasciata USA, in particolare di Linda Douglass, moglie dell'ambasciatore John Phillips e nota giornalista lei stessa. David Carr era tra gli ospiti, tutte star dell'editoria americana, dal ceo di Bloomberg, Justin Smith al direttore del Wall Street Journal, da Jeff Fager di Cbs ad Andrea Mitchell la piu'nota anchorwoman della Nbc. Ma l'intervento piu' seguito fu proprio quello di David Carr. Faccia scavata, fisico piu'che asciutto, quello che Dean Baquet, il direttore del New York Times, ha definito "il miglior reporter della sua generazione" non era mai stato a Roma. Lo racconto'a cena, scortato dalla moglie Jill, una donna d'affari nel settore del food. Lui, curioso della sua prima visita romana, il giorno prima di "State of media" si era subito fatto portare al Colosseo e a cena descrisse con la stessa ironica efficacia dei suoi pezzi, l' incontro con I centurioni davanti al Colosseo.. David Carr era stato tossicodipendente. Roba dura, si faceva di crack. Ma era riuscito a uscirne e aveva raccontato quella sua vita precedente in un libro di grande successo e di grande forza. Essere "il miglior reporter della sua generazione" significava cercare notizie con la stessa ansia con cui un tossico cerca ogni giorno la droga, spiego'. Lui era fatto cosi', gli piacevano le storie, le notizie, e un po'prendeva in giro il filone del neo giornalismo da scrivania e ricerche su Internet. "Robot assemblati nello scantinato del New York Times" diceva descrivendo col suo tono ispido ma in fondo affettuoso i piu'giovani colleghi. E'morto come e'successo a molti giornalisti prima di lui: in redazione. Poche ore prima aveva lungamente intervistato Edward Snowden. E'morto sul campo, insomma e troppo presto. Ma in fondo la fine e'stata coerente a quanto l'ha preceduta. Il giornalismo l'aveva tenuto in vita, col giornalismo aveva sconfitto il crack, facendo il giornalista si e'consegnato alla sua ultima storia. Anche stavolta David Carr ne ha scritta una.
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Il Messaggero