I "compiti a casa" (ossia la riduzione del debito pubblico e il proseguimento dell'azione di risanamento dei conti e più in generale di riforma) l'Italia li deve fare...
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L'accento posto sul futuro e sul dovere dell'equità intergenerazionale suona quanto mai sensato. Se il problema se lo fosse posto la classe dirigente che ha fatto crescere l'incidenza del debito sul Pil dal 58 per cento del 1980 (quando l'Europa non ci chiedeva ancora niente) fino al 120 dei primi anni Novanta oggi avremmo molti vincoli e affanni in meno. Resta il fatto che ora questo debito esiste e la Repubblica italiana deve convincere ogni anno investitori italiani e stranieri a comprare titoli per circa 400 miliardi. Inevitabilmente quindi un po' di compiti dobbiamo farli anche per loro, o meglio dobbiamo convincerli che saremo in grado di fare fronte ai nostri impegni restituendo quel che ci viene prestato.
Il punto è che molti di questi soggetti, in particolare quelli internazionali, hanno bisogno di qualche criterio per valutare l'affidabilità del nostro Paese. Così ad esempio la capacità di mantenere il disavanzo entro il 3 per cento del Pil è un parametro certamente rozzo e per molti versi arbitrario, ma comunque chiaro: al di là delle procedure europee viene quindi utilizzato come indicatore approssimativo della capacità futura di generare risorse finanziarie. Un'alternativa ci sarebbe: convincere gli stessi investitori che il Paese riprenderà la via della crescita, e sarà quindi in grado per questa via di assicurare i flussi necessari a presentarsi come un debitore credibile. Ma c'è qualcuno in grado di fare promesse del genere?
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Il Messaggero