La corsa italiana all'Oscar e i diritti del pubblico

La corsa italiana all'Oscar e i diritti del pubblico
Chi rappresenterà l’Italia all’Oscar? Lo sapremo alla fine del mese, quando una speciale commissione di cui fa parte anche il regista Paolo Sorrentino (che l’Oscar l’ha...

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Chi rappresenterà l’Italia all’Oscar? Lo sapremo alla fine del mese, quando una speciale commissione di cui fa parte anche il regista Paolo Sorrentino (che l’Oscar l’ha vinto nel 2014) sceglierà il film destinato a concorrere al massimo premio cinematografico mondiale. Intanto si sono iscritti in sette. E sono film completamente diversi fra loro: si va dalla commedia di “Perfetti sconosciuti” e “Gli ultimi saranno ultimi” al noir (“Suburra”, “Pericle il Nero”), dal mélo di “Indivisibili” al documentario (“Fuocoammare”) e al geniale mix tra fumetto, commedia, azione rappresentato da “Lo chiamavano Jeeg Robot”.

In comune, i film che aspirano ad essere il candidato italiano all’Oscar hanno un aspetto: cercano, e trovano, il dialogo con il pubblico (che ha risposto affollando le sale). Solo per questo meriterebbero di essere tutti candidati all’Oscar. Il cinema è infatti un’arte destinata ad essere condivisa. Se dimentica questo principio elementare, rischia di ridursi a un’elucubrazione mentale dell’autore. Il dibattito è stato rilanciato all’ultima Mostra di Venezia dove il Leone d’oro è stato vinto dal film filippino “The Woman who Left” lungo quattro ore, in bianco e nero. Bellissimo, rigoroso, firmato da Lav Diaz, regista di culto nel panorama dei festival, ma aveva messo a dura prova la resistenza degli stessi critici che in pochi erano arrivati fino alla fine. E’ giusto dimenticare le esigenze del pubblico in nome dell’arte? Credo proprio di no, se vogliamo che il cinema sopravviva. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero