Nati negli anni 80: quel capitale umano che l'Italia disperde

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"Il paradosso italiano". Cosi Alessandro Rosina, professore di statistica sociale alla Cattolica di Milano, definisce l'assurdita'di un Paese, l'Italia, che ha investito denaro (almeno un po')e formazione (almeno un po') nella generazione dei venti-trentenni che ora condanna all'irrilevanza. La Generazione Y, o Millennials, e'quella dei nati negli anni "80. Ad alcuni, pochini, e'andata bene: Maria Elena Boschi a 32 anni e'ministro delle Riforme. Al 27,6 per cento e'toccato trasferirsi all'estero dopo aver preso una laurea col risultato di portare altrove l'investimento in capitale umano fatto nel nostro Paese. Agli altri, a molti degli altri, tocca l'universo delle partite Iva e della precarieta'. Su 527.082 partite Iva aperte in Italia nel 2013, 193.266 appartengono alla Generazione Y. Ho cominciato ad appassionarmi al futuro dei ventenni italiani nel 2005. Ero appena diventata direttore del settimanale "A" e tra le nuove rubriche del giornale aprimmo una pagina dedicata ai e scritta dalla Generazione Y. La chiamammo "Diario dei ventenni" e per sette anni, tanto quanto e'durato "A", vi hanno scritto figli di (da Giulia Minoli alla nipote di Tullia Zevi , dalla figlia di Sabina Ciuffini al figlio di Ettore Gotti Tedeschi) e totali sconosciuti, ragazzi che collaborando al Diario dei ventenni hanno scoperto la passione per il giornalismo e ragazzi che scrivevano mentre di sera facevano i camerieri a Roma, a Londra, a Taranto. E'stata un'esperienza bellissima. Sempre in quegli anni, mentre la crisi economica cominciava a galoppare, ho cominciato a ricevere tonnellate di mail. Ventenni che mi raccontavano la frustrazione di aver bussato a decine di porte senza trovare neppure la possibilita'di uno stage, madri che confessavano il dolore di vedere una figlia che, seguendo buoni consigli, aveva investito tutto sulla preparazione scolastica, preso la laurea e fatto un master all'estero, e ora, ancora senza lavoro a 28 anni, si vergognava di chiedere a casa i soldi per una pizza con gli amici. Fu cosi'che nacque A4job, la prima iniziativa di un giornale che, con la collaborazione di Trovolavoro, mise in contatto i giovani neolaureati con le aziende disposte a farli crescere attraverso uno stage retribuito. A4job e'stato voluto, e strenuamente difeso, dalla redazione del giornale, senz'altro sostegno che quello delle moltissime aziende che con noi ci credevano. Era la prima volta e benche'nessuno, o quasi, ci aiutasse a comunicare l'iniziativa, pure portammo a casa molti stage, gran parte dei quali diventati poi occasioni di lavoro. Era difficile non intenerirsi quando, conoscendo gli stagisti frutto di A4job, ti sentivi dire:"Non credevo esistessero stage senza raccomandazioni". Tempo fa ho incontrato un ex stagista di A4job, Luigi Cascone, oggi portavoce delle deputate Pd Alessia Moretti e Alessia Morani: mi ha detto che per lui A4job e'stata la chiave di accesso al mondo del lavoro, dopo lo stage ha trovato un suo ruolo a Bruxelles e ora a Roma. Gli stage sono utili se lo stagista viene seguito, se impara dagli esempi e dalla pratica, se viene pagato in modo decente. La trasmissione di esperienza e' quel che manca nel passaggio delle generazion in Italia. Si chiama formazione e ad ogni convegno se ne denuncia la drammatica mancanza. La denuncio anch'io e per questo sto dedicando tempo e attenzione a una nuova iniziativa, la terza dopo "Diario dei ventenni" e A4job: la campagna Adotta un ventenne, lanciata il 23 marzo scorso con Valore D nel corso del convegno "Il potere delle donne" a Madonna di Campiglio.
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Il Messaggero