"Mission",  c'è bisogno di Paola Barale per capire la tragedia dei profughi?

"Mission",  c'è bisogno di Paola Barale per capire la tragedia dei profughi?
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E’ stato visto da pochissimi (con l’8,16 per cento di share), il programma di Raiuno che ha scatenato le polemiche più roventi degli ultimi mesi: “Mission”. Forse l’avete visto anche voi, magari ne avete letto: per chi non lo sapesse, la Rai ha mandato una serie di vip (Al Bano e le figlie, Emanuele Filiberto, Paola Barale, Cesare Bocci, Francesco Pannofino…) in mezzo ai rifugiati nei campi di accoglienza di Giordania, Africa, Ecuador. Da mesi, l’azienda pubblica veniva attaccata da tutte le parti e accusata di voler fare spettacolo con il dolore, di confezionare un “reality della disperazione”. A un certo punto, data l’unanimità o quasi della contestazione, si pensava addirittura che il programma venisse cancellato. Invece è andato in onda. Incuriosita, mi sono guardata “Mission” anch’io per capire se le polemiche fossero fondate o no. Cosa volete che vi dica? A parte l'indiscutibile buona fede dei famosi, a cominciare da Al Bano & figlie che in mezzo alle tende invase dai topi e ai bambini laceri apparivano sinceramente colpiti e desiderosi di rendersi utili (li hanno messi a srotolare materassi), non ho capito a cosa servisse la trasmissione. Ho sentito molte frasi di circostanza, ho visto troppi primi piani di bambini emaciati e spaventati (ma non era proibito riprendere i minori?), ho ascoltato appelli a mandare soldi per aiutare le organizzazioni che eroicamente (sì, eroicamente) assistono quei disperati. Mentre la conduttrice Rula Jebreal sfoggiava un tubino molto sexy dalla schiena scoperta, più adatto a una serata dei Telegatti che a un programma sugli ultimi del mondo, ho appreso che l’esperienza tra i profughi ha “cambiato la vita” ai vip che l’hanno provata ma nessuno, per esempio, mi ha spiegato di più sulle guerre che ancora costringono tante persone (secondo l'Onu, 45 milioni nel mondo) a lasciare le loro case e le loro cose per vivere ammassate in mezzo al deserto senza una speranza per il futuro. Una domanda continua a girarmi per la testa: è vero, come sostiene la Rai, che bisogna ricorrere ai vip per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla tragedia epocale dei rifugiati? Io mi rifiuto di crederlo e non ne posso più della logica dell’intrattenimento, tragicamente radicata nella nostra vita. Oggi tutto è spettacolo, anche il tema più drammatico si riduce a un’ospitata di vip. Ma andiamo! Il pubblico non è stupido, sa distinguere le cose serie dall'evasione. E per commuoversi, indignarsi ed eventualmente mobilitarsi per una buona causa non ha bisogno del traino di cantanti, attori o intrattenitori spediti in trasferta nella disperazione. Come del resto hanno dimostrato i modestissimi ascolti di “Mission”.
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Il Messaggero