"L'idiota" di Elif Batuman: le vite minuscole di Selin, la ragazza con la penna

"Love on the Road" di Ron Hicks
Non è facile scrivere della propria giovinezza; spesso manca la giusta distanza tra l'autore e i fatti raccontati; oppure si tende a eccedere, a calcare i toni. Ma se a...

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Non è facile scrivere della propria giovinezza; spesso manca la giusta distanza tra l'autore e i fatti raccontati; oppure si tende a eccedere, a calcare i toni. Ma se a farlo è una scrittrice americana di grande talento, Elif Batuman, quarantunenne firma del New Yorker di origine turca, il romanzo di formazione diventa un'esperienza formidabile. "L'idiota", appena tradotto da Einaudi, è il suo secondo libro; prende le mosse (come il primo, I posseduti) dal suo amore per Dostoevskij e la letteratura russa - ma solo fino ad un certo punto. «Elif Batuman? Lei sì che avrebbe dovuto vincere il Pulitzer con questo libro meraviglioso», disse lo scorso aprile Andrew Sean Greer della collega finalista al Messaggero, dopo avere ottenuto l'ambito riconoscimento.


I precedenti, come per esempio "Il giovane Holden" di Salinger, o "Le regole dell'attrazione" di Brett Easton Ellis, raccontano la gioventù come una lunga ribellione al mondo degli adulti; Batuman, invece, mostra lo stato sognante dell'innocenza, lo stupore continuo per il mondo e la vita.

La protagonista, alter ego dell'autrice, è una diciottenne di nome Selin, appena sbarcata ad Harvard, alle prese con le stesse paure ed emozioni di qualsiasi altra ragazza della sua età. Ma con una differenza: ha una intelligenza acuta e penetrante, un senso dell'umorismo originale e spiazzante (che non la salva, tuttavia, dall'inevitabile sofferenza, dal sentirsi, soltanto, un'idiota). La storia parte dal 1995 e ce ne accorgiamo perché ogni tanto irrompe un avvenimento d'attualità - come la morte di Iosif Brodskij - o una canzone - Smell Like Teen Spirit del Nirvana. La giovane matricola apprende dell'esistenza delle email appena arrivata al campus; ed è proprio a causa di un intenso scambio di messaggi che Selin, impegnata in defatiganti corsi di russo e linguistica, si innamora di un ragazzo ungherese dell'ultimo anno, un matematico di nome Ivan. Un amore totalizzante e irraggiungibile.

«Non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita», sembra dire Batuman, che racconta ogni minimo evento, ma con una grandissima capacità di inanellare dettagli, con una prosa sorvegliatissima, fatta di poche parole. Un esempio: «A differenza di Dickens, al quale talvolta veniva paragonato, a Balzac non piacevano né interessavano i bambini, ed era sostanzialmente privo di senso dell'umorismo». Oppure: «Il compagno di stanza di Ralph si chiamava Ira, abbreviazione di Iron Dog, cane di ferro. Era nativo americano e in effetti il ferro lo usava un sacco, per stirare la mattina presto».

In fondo, come scrive l'autrice, il senso della scrittura non è solo registrare il passato, ma anche prolungare il presente. Così la nostra vita diventa un'interminabile narrazione, come ne Le mille e una notte; ed è sulla pagina che troviamo, alla fine, il nostro posto nel mondo. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero