Il mozzicone che ci avvelena

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NEW YORK – Fumate? Allora fate un favore a questo pianeta: state attenti a dove buttate i mozziconi.


Per quanto piccoli, quei resti di sigarette si stanno rivelando uno degli elementi inquinanti più pericolosi. Peggio delle buste di plastica, peggio delle cannucce, peggio delle bottiglie. Quel filtro che credevamo biodegradabile, non lo è. Contiene una plastica che impiega lungo tempo a dissolversi. E mentre passano gli anni, il filtro rilascia le sostanze tossiche che aveva intercettato dalla sigaretta: nicotina, arsenico, piombo.

Purtroppo,  quando galleggiano nel mare, i mozziconi vengono spesso ingeriti dagli animali, da uccelli, tartarughe marine, e soprattutto da pesci. Può capitare dunque che quelle sostanze finiscano sul nostri piatto, e nei nostri stomaci.

I mozziconi di sigaretta infatti finiscono quasi sempre in mare. Sia perché vengono spessissimo buttati sulle spiagge, sia perché la pioggia li trasporta facilmente nei tombini, negli scoli e da lì a mare. Uno studio condotto dalla Ocean Conservancy, una Ong ambientalista con sede a Washington, dimostra che i mozziconi sono il rifiuto più numeroso esistente al mondo.

Ho letto che si calcola che nelle spiagge italiane siano sepolti 14 milioni di mozziconi. Ebbene, la Ocean Conservancy, che organizza pulizie delle spiagge americane, ne ha raccolti 60 milioni dal 1986 a oggi.

Negli Stati Uniti c’è un movimento che propone di abolire i filtri delle sigarette. Ci sono start-up che lavorano alla creazione di filtri biodegradabili. Ma nel frattempo, mentre aspettiamo che l'industria del tabacco trovi una soluzione, è giusto chiedere ai fumatori di esercitare un maggiore senso di responsabilità: quando avete finito la vostra sigaretta, per favore, badate a dove buttate la cicca. Una sola sigaretta non cambia il mondo, ma se sensibilizzeremo tutti i fumatori, il risultato si vedrà.


                                                                                                                                                                                                Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero