Il Mondiale, traffico e accrediti

 Il Mondiale, traffico e accrediti
6 giugno, giornata passata in macchina Succede, specialmente a Rio,...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
159,98€
40€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA MIGLIORE
ANNUALE
79,99€
19€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
 
MENSILE
6,99€
1€ AL MESE
Per 6 mesi
SCEGLI ORA

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
6,99€
1€ AL MESE
Per 6 mesi
SCEGLI ORA
ANNUALE
79,99€
11,99€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
2 ANNI
159,98€
29€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 6 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
6 giugno, giornata passata in macchina
Succede, specialmente a Rio, dove sono più automobili che ballerine di Samba, mentre il mito ci ha sempre raccontato l'esatto contrario. Sveglia alle 6.30, appuntamento dopo la colazione con il collega amico Maurizio Pizzoferrato. Tappa Rio de Janeiro, si ritirano gli accrediti e come dice qualcuno, comincia il vero Mondiale (è una cretinata, però). Per me il Mondiale è cominciato quando mi hanno detto di venire in Brasile, ma io sono ansioso e quindi non fa testo, per l'Italia comincia il 14, prima partita a Manaus. Vabbè, sottigliezze, fatelo cominciare quando vi pare. Fatto sta che partiamo dall'hotel di Marina di Itacuruça, a pochi chilometri da Mangaratiba, ritiro della Nazionale, e un centinaio da Rio. Entriamo in macchina intorno alle 7.30, e ci imbottigliamo nel traffico, che ti segue ovunque, a volte ti anticipa, perché come fai un tratto di strada libera dici, si è sbloccato tutto si cammina, invece già si è inesorabilmente ripresentato. Un incubo (risparmio un episodio spiacevole che ci ha rovinato la giornata, il traffico a confronto è una barzelletta). Una tangenziale romana infinita, Napoli al quadrato. Ci siamo capiti. L'autista non parla mezza parola di italiano, noi in portoghese sappiamo dire solo buon giorno e buona notte. Un dialogo tra sordi. A un certo punto, l'autista, si chiamava Emerson, e ovviamente lo abbiamo ribattezzato il Puma, non aveva capito che dovevamo andare al Maracana e ci stava portando da un'altra parte. Volevo morire (oddio, non esageriamo...). Morale della favola, arriviamo dopo circa tre ore agli accrediti. E lì pensiamo: ora ce ne vorranno altre due. In un quarto d'ora abbiamo fatto tutto. Ripartenza per Mangaratiba, dove Prandelli si esibisce in conferenza all'una e trenta. Altra corsa contro il tempo, altre due ore e poco più in macchina, io Pizzo e il Puma. Non si arriva mai, ma poi siamo arrivati, col nostro bell'accredito sul collo e col nostro Puma nel motore. Qui, a casa Azzurri incontri tutti i colleghi, e subito sembra di stare in Italia. Alla fine non so quanto sia positivo, perché capisci tutto e a volte è meglio non capire, come succedeva col Puma, compagno di una bella fetta della giornata. Parla Prandelli, la Nazionale si allena, cominciamo a scrivere, poco agevolati dal fuso orario con l'Italia. Routine. Esco da Casa Azzurri e rivedo Emerson, l'autista. Chissà che stava facendo, avevamo capito che andava via dopo averci lasciati. Me l'ha spiegato ma non ho capito una parola...   
Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero