Fight Club, vent'anni di un mito: Palahniuk sforna un sequel a fumetti e il nuovo romanzo "Il libro di Talbott"

Brad Pitt in "Fight Club"
Ci sono poche frasi fatte che ricordiamo facilmente come la cosiddetta prima regola del Fight Club (vale a dire che non bisogna mai parlarne); e basta questo per capire come un...

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Ci sono poche frasi fatte che ricordiamo facilmente come la cosiddetta prima regola del Fight Club (vale a dire che non bisogna mai parlarne); e basta questo per capire come un film girato esattamente vent'anni fa da David Fincher (già autore di un capolavoro come Seven) sia entrato potentemente nel nostro immaginario. Il libro omonimo di Chuck Palahniuk aveva venduto appena cinquemila copie, ma Fincher ne era rimasto folgorato, e raccontò di avere riso dall'inizio alla fine: «Chi di noi non vorrebbe vedere una compagnia di carte di credito saltare in aria?». Il cineasta sottopose i protagonisti, Brad Pitt e Edward Norton, a un'immersione totale nei loro personaggi. Quando Pitt (alias Tyler Durden) chiede a Norton (ovvero il narratore) di colpirlo più forte possibile, lui gli tira un destro veramente - come gli aveva raccomandato il regista - e lo fa sanguinare a un orecchio. 

Fincher impose ai suoi attori di prendere lezioni di pugilato e anche - poiché è parte importante della trama - di imparare a fabbricare artigianalmente il sapone. Si narra che persino gli orgasmi di Pitt e Helena Bonham Carter siano registrazioni genuine. Si può molto discutere sui messaggi eversivi e anarcoidi del film (così estremi da risultare paradossali), e del libro da cui molto fedelmente è tratto, ma di certo Fincher aveva preso il testo alla lettera.

Palahniuk raccontò di avere avuto l'ispirazione da una disavventura che gli era veramente capitata: durante una gita in camper, chiese ad altri campeggiatori di abbassare il volume della radio e loro gliele suonarono di santa ragione. Tornato al lavoro, il lunedì successivo, aveva la faccia pesta; ma nessuno ebbe il coraggio di chiedergli cosa fosse successo. I suoi romanzi successivi, come "Soffocare" e "Ninna nanna", lo hanno consacrato come uno degli autori più disturbanti e controversi d'America. Ma Palahniuk non è mai riuscito a bissare quel suo primo, folgorante, esordio. Il film, presentato al Festival di Venezia, non ebbe vita facile. Maltrattato dai critici, fu un flop nelle sale. Ma arrivò a vendere 13 milioni di copie di dvd, diventando negli anni un film di culto. Secondo il regista, Fight Club «si è ampiamente ripagato da solo»; «È una satira, ma questo molti non lo capiscono».

In America sta per uscire il sequel del sequel di Fight Club, ovvero la sua terza parte a fumetti, edita da Dark Horse, una delle case editrici più noir e gotiche in circolazione. I personaggi sono sempre gli stessi; ma il narratore (interpretato sul grande schermo da Norton) qui trova finalmente un nome: Balthazar. Stando alle anticipazioni, un nuovo gruppo crea un piano spietato e deviante per rimettere a posto l'umanità, e chiede aiuto all'uomo da cui tutto è cominciato, Tyler Durden.

Il film di Fincher continua ad aleggiare anche nell'ultimo romanzo di Palahniuk, "Il libro di Talbott", edito da Mondadori (uscita prevista: 29 gennaio). Un vero e proprio Fight Club alla massima potenza. Un oscuro gruppo di ragazzi qualunque crea una lista di persone da uccidere (o a cui, almeno, mozzare un orecchio), in vista del Giorno dell'Aggiustamento. Poiché gli hater in rete non sono mai mancati, nel mirino finisce l'intera èlite della società americana: politici (colpevoli di voler mandare in guerra un'intera generazione di giovani difficili), professori (che hanno la controindicazione di spingere a pensare), e soprattutto giornalisti, ai quali si imputa il difetto di denunciare ciò che sta realmente accadendo. 

Probabilmente, anche qui l'aspetto della satira sfuggirà al lettore tradizionale; perché il mondo distopico descritto da Palahniuk fa accapponare la pelle. Nel libro nero-blu redatto dal professor Talbott Reynolds che tutti devono portare con sé, pena la prigione (una specie di Mein Kampf moderno), ci sono le basi di una nuova società spietata, in cui comandano i pochi che hanno creato il nuovo ordine: coloro che hanno messo fuori gioco ricchi e potenti e che diventano, di fatto, dei signori assoluti. La diversità non è un problema, perché i neri verranno trasferiti tutti in un loro territorio, Blacktopia, i bianchi in un altro (Caucasia) e quanto agli omosessuali, nessuno problema: li aspetta una California improvvisamente ridenominata Gaysia.


Nel ritmo frenetico degli avvenimenti (difficile immaginare un Messico che chiude le frontiere per il surplus di esuli americani) gli ormai ex Stati Uniti diventano un inferno da cui è impossibile sfuggire. Ma come avverte lo stesso autore, con una citazione presa dal libro dei rivoltosi, «il lato bello della finzione è che deve soltanto avere l'odore della realtà». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero