La paura di non avere paura

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La metro di Parigi è un attentato in movimento. Un allarme che si propaga sotto terra ma nemmeno troppo sotto traccia. Non c'è una persona rassicurante, uno di quelli con gli occhialetti e il libro in mano. Uno che ascolta la musica con il sorriso estasiato e che magari è concentrato sul Baglioni o Ramazzotti francese e mi sarei accontentato pure di un più rockettaro Vasco Rossi. Uno con lo zainetto sulle spalle, tipo studente del liceo. Oppure una mamma con i bambini, un impiegato che torna a casa dalla famiglia. Niente. La prima volta che metto piede dentro la metropolitana, fermata di Saint Denis, mi rendo conto di trovarmi in una specie di scalo del terrore, come quando da piccolo al Luna Park mi fiondavo in quelle case della paura ed uscivo facendo finta di averne avuta per non pensare di aver buttato i soldi. Scendi le scale e pensi ti stia per cadere addosso un chilo di tritolo, percorri gli illuminati corridoi sotterranei e immagini un agguato nell'angolo successivo. Vedi uomini con i barboni tipo Bin Laden, donne con il fazzoletto in testa, poi ci sono i tifosi, ad esempio quelli inglesi, che scambiano il tetto dei vagoni per tamburi: cantano, bevono, cantano, urlano. Una fermata, ne devo fare una sola, dai ce la possiamo fare ad arrivare alla salvezza, alla pace. Non vedo l'ora di mettere il naso sotto il cielo aperto, anche se piove. Alla fine ce la facciamo. Salvi. La sensazione è di aver scampato un pericolo. Il giorno dopo stesso tragitto, l'avvicinamento all'esperienza metro si porta appresso le stesse sensazioni del giorno prima. Ma dentro alla fine vivi tutto con un'aria diversa, normalizzi la paura e improvvisamente, questa, sparisce. E hai paura, ti chiedi: oddio, perché è sparita? Che sarà successo? E' rassegnazione? Eppure le persone sono le stesse, i movimenti uguali, i corridoi e gli scalini non sono cambiati. Non te lo spieghi e le cose che non mi spiego mi terrorizzano. Alla fine, insomma, ho sempre paura, anche quando non ne ho. Capisco: sono cambiato io, in un solo giorno. E' la diffidenza diventa fiducia, la paura diventa fatalismo, incoscienza. O semplicemente, chi mi sta intorno è persona normale nella sua diversità. Pensavo di aver capito questa sfumatura tanto tempo fa, ma non era vero: le diversità non ti spaventano finché non le incontri. Magari In quel percorso sotterraneo, c'è chi aveva paura di me, e il mio zaino, a tanti compagni di viaggio, forse è sembrato sospetto.   Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero