Doping, il caso Russia e le ombre che coprono il pianeta sport

Doping, il caso Russia e le ombre che coprono il pianeta sport
C’è una debolezza assoluta del sistema-sport. La vicenda del doping di Stato in Russia lo testimonia perfettamente. Purtroppo si parla della Russia, che è...

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C’è una debolezza assoluta del sistema-sport. La vicenda del doping di Stato in Russia lo testimonia perfettamente. Purtroppo si parla della Russia, che è finita nei radar della Wada ma certamente il fenomeno riguarda altre realtà sportive. Indagini investigative, giornalistiche per prime, degli uomini dell’Agenzia antidoping mondiale subito dopo, hanno chiarito quanto torbido c’è. Chiarito di certo non tutto, siamo certi solo la parte più in vista. Per vincere si è disposti a tutto: primi a muoversi sono i dirigenti, affamati di gloria e di medaglie. Coinvolgere il “sistema”, ossia tecnici e atleti, non è affatto complicato.

Negli anni della guerra fredda il doping era d’uso nei Paesi dell’Est. Adesso la Wada ha mostrato una realtà tragica in Russia: test inutili, urina sostituita, dirigenti accondiscendenti, laboratori complici, provette aperte e richiuse. Che sport è questo?
Alle Olimpiadi di Sochi 2014, quelle invernali costate una fortuna perché si è realizzato davvero un luogo diverso da quello che c’era, i padroni di casa dovevano vincere per dimostrare che la Russia non era solo tecnologia, impianti straordinari, luoghi formidabili: era anche terra di straordinari campioni. Però, costruiti.
Qui viene logico porsi una domanda: ma davvero nessuna tra gli uomini del Cio e quelli della Wada s’è accorto di nulla? Mai? Tutti sono però attenti ai contratti televisivi, alla corsa alle Olimpiadi, alla scelta migliore che non è sempre quella migliore dal punto di vista sportivo. Lo è sotto quello degli affari e dell’interesse anche personale. Del resto il business viene prima di tutto. Basti ricordare quello che avvenne per i Giochi del 1996 consegnati ad Atlanta e i successi che ha organizzato Atene nel 2004. Probabilmente a Losanna nel settembre del 1997 non si doveva neppure votare: tutto era scontato.
Tutto è davvero triste perché coinvolge l’entusiasmo di chi segue lo sport. Si esulta per una vittoria, un record, una coppa. E poi? Ci si domanda: sarà vera gloria? Prendete il ciclismo e il Tour con le sette vittorie di Lance Armstrong che poi, anni dopo, è stato messo al bando. Erano successi effimeri i suoi, ma dopo tanto tempo chi ci pensa più? A Roma, Mondiali di atletica dell’87, Carl Lewis è stato battuto nella finale dei 100 metri da Ben Johnson. Il canadese trionfò con 9”79, nuovo record del mondo. Oro e primati li ha riconsegnati qualche anno dopo, il tutto al figlio del vento. Ma intanto quel giorno di agosto ’87 la gloria è stata di Ben Johnson.
Possibile che nessuno si sia accorto degli affari che Lamine Diack faceva, con la sua famiglia, grazie alla Iaaf? Era tutto così segreto, tutto coperto nel migliore dei modi. Alla faccia della trasparenza. Le Federazioni internazionali dovrebbero avere maggiori controlli, ma non sempre – anzi, mai – ciò avviene. Quanto accaduto in seno alla Fifa, una scandalo di proporzioni gigantesche, è sotto gli occhi di tutti. La realtà è quella di uno sport che è bello, puro ed entusiasmante nelle fasce più basse; quando il livello sale, proporzionalmente crescono scandali, affari, intrallazzi.
Tra i tanti, troppi casi di nefandezze, ecco lo scandalo spagnolo dell’Operacion Puerto. Le conclusioni? Le famose sacche di sangue che è stato promesso di dare un nome dei “padroni” mai avrà conclusione. A parole tutti predicano la pulizia, nei fatti meglio tacere. Ha pagato qualcuno, c’è stata qualche squalifica ma nulla di più. Altri pesci grossi rimarranno per sempre nell’anonimato.
Ci scandalizziamo per il caso della Russia con il suo doping di Stato. Giusto indignarsi, non sappiamo se dire giusto no a Rio a tutto lo sport russo, ma sarebbe giusto dire rottamiamo una classe dirigente che nulla a che vedere con lo sport ma solo con gli affari. E per gli affari ci si gioca tutto, in primis gli atleti.

Intorno al pianeta sport girano troppi interessi e sempre nessuno di chi lo governa riesce a porre rimedio. Anzi, nel caos ci trova sempre il lato positivo: prezzi alle stelle, tifosi da spennare, soldi da guadagnare. Ecco perché non ci dobbiamo attendere che le cose migliorino: non conviene ai padroni del vapore.
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Il Messaggero