Chi ha paura delle multinazionali?

Chi ha paura delle multinazionali?
Sono d'accordo più o meno tutti: quando ci sono da additare i meriti del sistema produttivo italiano , ma anche quando si tratta invece di invocare per esso sostegno...

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Sono d'accordo più o meno tutti: quando ci sono da additare i meriti del sistema produttivo italiano , ma anche quando si tratta invece di invocare per esso sostegno (statale, bancario o, altro) il riferimento è quasi sempre alle "piccole e medie imprese". Le dimensioni ridotte paiono essere di per sé un titolo di merito e una garanzia di identità. Al contrario, la grande impresa da noi genera diffidenza istintiva o addirittura ostilità se si parla di "multinazionali" (caratteristica che di per sé non sarebbe prerigativa delle aziende più grandi). Come tutte le generalizzazioni, anche questa nasconde naturalmente situazioni molto differenziate. Le piccole imprese sono giustamente un vanto del sistema italiano, ma ne rappresentano spesso anche un limite con conseguenze - ad esempio - sugli investimenti complessivi in ricerca o anche sulle retribuzioni dei lavoratori, che sono mediamente più alte nelle grandi imprese. Può essere utile allora dare un'occhiata ai dati Istat sullo stato di salute delle multinazionali italiane all'estero. Nel 2012, anno molto negativo per la nostra economia, la la loro presenza è cresciuta: le 21.830 controllate in 148 Paesi impiegavano oltre 1,7 milioni di addetti con un fatturato di 546 miliardi di euro. Nel successiovo biennio la tendenza verso l'internazionalizzazione del sistema è proseguita, in particolare nel settore dei servizi. Ma l'aspetto forse più interessante è la dimensione delle controlate italiane all'estero:80, 3 addetti contro i 3,8 delle imprese residenti in Italia. All'estero piccolo è un po' meno bello.
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Il Messaggero