Bosch e Marelli, gli esuberi sono un allarme: giocare d'anticipo per salvare la componentistica dell'auto in Italia

La sede della Bosch
C’era d’aspettarselo. Arriva la transizione ecologica, il mondo dell’auto cambia in profondità. Specialmente in Europa, ormai, il dado è tratto:...

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C’era d’aspettarselo. Arriva la transizione ecologica, il mondo dell’auto cambia in profondità. Specialmente in Europa, ormai, il dado è tratto: tempo dieci anni e nulla sarà più come prima. Noi, purtroppo, non abbiamo più una grande industria automotive. Almeno dal punto di vista quantitativo. I tradizionali rivali, Germania, Francia ed Inghilterra, sfornano annualmente molti più veicoli di noi. Ed anche paesi con una tradizione motoristica neanche paragonabile alla nostra, come Spagna e Repubblica Ceca, ci sono davanti nella classifica delle vetture assemblate. Gran parte degli addetti e del fatturato, però, gravitano sulla componentistica dove operano anche la medie imprese e in questo campo siamo una vera eccellenza, facendo da fornitori a costruttori non soltanto europei. Una competenza difficile da trova- re altrove, apprezzatissima per tecnologia e qualità.

Gran parte di questo ben di dio, che muove il Pil e l’occupazione, dovrà essere ripensato e molti impianti e forza lavoro riconvertiti. Proprio in questi giorni le prime avvisaglie che sono molto più di un antipasto. La Bosch, multinazionale tedesca leader del settore elettronico con una lunga tradizione in Italia, ha annunciato 700 esuberi nel suo stabilimento di Bari, uno dei punti di riferimento della regione. La Marelli, da parte sua, ha fatto sapere di non aver più bisogno di 550 addetti. Non è una mo- da, ma una tendenza consolidata. Entrambi i dossier finiranno presto su un tavolo del Mise, ma c’è la forte impressione che non basti. Non si tratta, infatti, di mediare fra due posizioni contrapposte. C’è un fronte di business destinato a scomparire e l’unico modo per contrastarlo è trovare altre vie di sviluppo.

Le note uscite dal Ministero dello Sviluppo Economico non sembrano sufficienti, tutti sanno che ormai l’industria è globale. Non può essere una soluzione, quindi, rallentare la transizione ecologica e la mobilità elettrica nel nostro paese perché la fabbri- ca pugliese dei tedeschi produce- va impianti di iniezione per vetture vendute in tutta Europa e non solo. I dispositivi necessari per i veicoli che si potrebbero piazzare in più sul mercato tricolore è in grado di realizzarli in un pomeriggio... Se vogliamo continuare a far lavorare i nostri impianti dobbiamo muoverci su uno scacchiere più vasto e non servono interventi spot, ma piani strutturali pensati non a livello ministeriale, ma governativo.

È necessario avere un canale aperto con Stellantis le cui decisioni ormai non vengo- no più prese soltanto a Torino, ma anche a Parigi. Lo stabilimento di propulsori a scoppio di Termoli e chiaro che avrà i giorni contatti e l’unico mo- do di riconvertirlo è far nascere una Gigafactory che sforni batte- rie. Parigi e Berlino, a tempo debito, hanno fatto i loro piani e allocato le risorse. Noi, in un settore così strategico per la nostra economia, non possiamo limitarci a tappare i buchi.

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Il Messaggero