A Manaus tornace te

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Diario dal Brasile, undicesimo e dodicesimo giorno
Ho visto poche città strambe come Manaus. Davvero sembrava che in mezzo alla foresta avessero costruito i grattacieli. E che da dietro quei palazzoni potesse sbucare da un momento all'altro una giraffa, una tigre, un pappagaallo. Che ne so, anche Godzilla. Caldo, caos, insetti. Pruriti. Non ci voglio tornare più e rigetto tutti coloro che continuano a dire, "bella Manaus". Bella? Ma tornace te. Allo stadio si passa dal congelatore della sala stampa ai trenta gradi delle gradinate. C'è gente strana vicino a noi. Una collega (non faccio nomi) ha provato a far funzionare wi-fi, non c'è riuscita, s'è alzata e se n'è andata. «Io non scrivo», il suo congedo. Beata te, se io dico non scrivo, mi lasciano a Manaus. Per punizione. L'Italia vince, si lavora, ma già faccio il conto alla rovescia per l'aereo di ritorno. Io mi sono svegliato e non vedevo l'ora di ripartire. Anzi, ho dormito poco proprio perché eccitato dall'idea di dover lasciare Manaus e tutti i suoi insetti. Come quando non chiudi occhio prima di partire per le vacanze. E poco importava che avremmo dovuto fare altre undici/dodici ore di viaggio, attese aeroportuali comprese. Manaus, San Paolo, Rio, il tragitto della felicità. Piccole turbolenze, ma nulla di che, il vero problema è che stavamo bucando l'aereo San Paolo-Rio, non riuscivamo a trasmettere i pezzi, colpa di un wi-fi fasullo in aeroporto e il nostro, manco a dirlo, funzionava solo nei sogni. A Rio ci viene a prendere un autista italiano, Fabrizio, che parlava italiano. Che capiva l'italiano. Avevo voglia di parlare e mi lancio: «Fabrì, ma come mai qui le donne sono tutte dei cessi?». Risposta: «Io ho la morosa brasiliana, vivo qui da sei mesi». Benissimo, ho pensato, ma perché non hai fatto l'orso come al solito? Ma che ti frega di dire, di sapere, le donne, i cessi... Alessà, sempre le solite figure di merda? Cambio discorso come nulla fosse. Ė quasi finita, già sentivo l'odore di casa, ancora due ore e rivediamo Itacuruca e il nostro albergo, che per due giorni mi è mancato. Sforzo gli occhi per andare a cena, stanco morto. Poi l'ora di dormire. L'Amazzonia è lontana e quel sedere enorme di Barbamamma non lo dimenticherò mai. Un pensiero ingombrante, più dell'afa di Manaus. La vittoria dell'Italia, un dettaglio.   
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Il Messaggero