Coronavirus, i gorilla africani a rischio: chiudono i parchi nazionali

NEW YORK – Un semplice raffreddore trasmesso da un essere umano può uccidere un gorilla. E oggi c’è il forte timore che alcune sottospecie di questi...

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NEW YORK – Un semplice raffreddore trasmesso da un essere umano può uccidere un gorilla. E oggi c’è il forte timore che alcune sottospecie di questi mammiferi possano essere spazzate via dal coronavirus. L’allarme lanciato dal World Wide Fund for Nature, rafforzato da raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha convinto gli amministratori di alcuni parchi nazionali in Africa a chiudere le porte alle visite degli esseri umani. Niente turisti almeno fino a giugno.

 
La preoccupazione riguarda i gorilla di montagna, una sottospecie del gorilla orientale, di cui rimangono meno di mille esemplari nelle montagne Virunga, una catena di vulcani condivisa dall’Uganda, dal Rwanda e dal Congo. Solo 30 anni fa erano tre volte più numerosi. I cambiamenti climatici, l’allargarsi degli insediamenti umani, la caccia e le malattie hanno decimato queste comunità.

Nel passato è già stato constatato che i gorilla sono sensibili al contagio di malattie respiratorie umane. Ci sono stati casi di mamme gorilla uccise con i loro piccoli da un semplice raffreddore. E casi di infezione da polmonite virale trasmessa dal contatto con gli umani.
 
«Abbiamo deciso di ascoltate il consiglio di esperti che ci hanno detto che i primati, incluso i gorilla della montagna, sono suscettibili alle complicazioni del virus covid-19 – scrive l’amministrazione del Virunga National Park, del Congo -. Dobbiamo dunque non rallentare il nostro impegno nel proteggere la popolazione di questa specie in via di estinzione».

Oltre al Parco Virunga, il più antico dell’Africa, creato nel 1925, altri tre parchi chiudono nel Rwanda, mentre l’Uganda ha detto che di fatto non ce n’è bisogno perché il turismo al momento è del tutto fermo.
 
I gorilla della montagna sono elencati nella lista delle specie in via di estinzione dal 1996.



 

 
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Il Messaggero