Uccide un coccodrillo e se ne vanta: «Scusatemi se mi compro una borsa nuova» Bufera social

La nota cacciatrice e conduttrice televisiva americana Larysa Switlyk con la preda (immag pubbl sulla sua pag Instagram larysaunleashed)
Un'altra simpaticissima cacciatrice tipo la sudafricana Merelize van der Merwe, terrore delle giraffe. Lei invece è americana, si chiama Larysa Switlyk, ama...

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Un'altra simpaticissima cacciatrice tipo la sudafricana Merelize van der Merwe, terrore delle giraffe. Lei invece è americana, si chiama Larysa Switlyk, ama la caccia grossa e le battute, anche quelle di spirito: «Scusatemi se compro una borsa nuova». Magari anche più di una perché la sua ultima preda orgogliosamente esibita è un coccodrillo di 60 anni lungo 5 metri, centrato dalle rive di un corso d'acqua dello Zambia. Siamo dalle parti, l'avrete capito, della Van der Merwe, che di recente ha ucciso una giraffa e ne ha poi mostrato il cuore ancora caldo e sanguinante al marito come regalo di San Valentino. 

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La Switlyk, 33 anni, di Sarasota, in Florida, si vanta pure di essere una protettrice delle vite (umane) altrui perché «quei coccodrilli minacciando la popolazione dello Zambia», il cui parere però non è noto. La cacciatrice, ospite fissa di numerose trasmissioni negli Usa, attrice e body builder, mostra anche la bacheca con i trofei: dice di avere ammazzato aninali di 116 specie, compresi i big fine sudafricani (leone, leopardo, elefante, rinoceronte e bufalo).

La battuta sulla borsa di coccodrillo, in realtà, non ha fatto ridere proprio alcuno. E non c'è bisogno di essere animalisti per dire che "Ironizzare sulla morte di un animale è squallido". Patetiche poi le precisazioni successive della stessa cacciatrice che ha tenuto a precisare che "di coccodrilli come quello, ce ne sono ancora tanti". E se il business della caccia grossa è di certo e da sempre una delle tante - discutibili - entrate di numerosi stati non solo africani, resta sempre da chiedersi perché questi facoltosi personaggi debbano sentire l'esigenza di vantarsi sul web delle loro “imprese”, non evidentemente accontentadosi degli amici che possono accogliere davanti al loro camino nella sala dei trofei. La triste risposta, in verità, la conosciamo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Il Messaggero