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Si chiama Raffaele Martino il signore della provincia di Asti costretto, per sfuggire ai francesi, a riparare in Messico. Ed è qui che, primo europeo, è venuto a contatto con la vaniglia. «E invece tutti pensano che a importarla in Occidente sia stato Hernan Cortes», dice il suo discendente diretto. Un racconto incredibile da leggere tutto d'un fiato.
La storia
Le pagine dei libri di storia possono essere riscritte? A volte sì e quello che state per leggere lo dimostra. Raffaele Martino è un signore della provincia di Asti che, per sfuggire all'avanzata dei francesi, segue l'Ammiraglio Colombo impegnato nella sua seconda spedizione verso le Indie occidentali. Un viaggio lunghissimo che lo porta prima ai Caraibi e poi, nel 1503, in Messico. La sua vita insomma viene completamente rivoluzionata. Abbandona la sua terra e l'amata Isotta e si immerge, pieno di nostalgia, in una nuova realtà. Ne impara la lingua ma anche gli usi e i costumi. Fino alla svolta. Inimmaginabile. Per una serie di circostanze fortuite, riesce a degustare quella che gli indigeni chiamavano Bevanda dell'Imperatore, una sorta di cioccolata calda destinata appunto ai sacerdoti e ai comandanti delle Forze armate. Garantiva, secondo le credenze dell'epoca la possibilità di entrare in contatto con i sacri spiriti e aveva, per chi combatteva in guerra, un potere energizzante.
«La Bevanda - spiega oggi Giorgio Tomalino, erede diretto, secondo quanto rivela l'Albero genealogico, di Raffaele Martino - era composta da acqua calda, cacao e un'aroma che chiamavano vaniglia».
Peccato però che, venti anni dopo, Hernan Cortes, militare, condottiero e nobile spagnolo obbliga Montezuma a svelare il segreto di quella Bevanda dai poteri magici e, una volta ottenuto, decide di portare la ricetta in Europa come omaggio ai Borbone. Inizialmente, senza grande successo. «Nella Penisola iberica - sostiene Tomalino - non ebbe un riscontro entusiasmante. Tanto che in Spagna la vaniglia non ha avuto grande successo in pasticceria. La svolta si ha quando l'aroma arriva in Francia, dove, ai tempi del Re Sole, incomincia a essere impiegata nella produzione di dolci artigianali. Il primo a essere documentato è quella che chiamiamo comunemente panna cotta. Un dessert molto simile a quello da noi conosciuto». La definitiva consacrazione arriva però qualche anno più tardi, quando Edmond Albius, schiavo divenuto poi agronomo, escogitò una tecnica rapida e redditizia per l'impollinazione manuale dell'orchidea: «Una scoperta fondamentale - commenta Tomalino - che rese possibile la produzione di vaniglia al di fuori del Paese d'origine della pianta, il Messico appunto, dove l'impollinazione avveniva naturalmente tramite degli insetti autoctoni».
Il commento della famiglia
Siamo arrivati ai giorni nostri e la vaniglia è diventata di uso comune. Ma a questo punto del racconto sappiamo perché sarebbe opportuno riscrivere alcune pagine dei libri di storia: «Andrebbe rettificato - dice Tomalino - il nome della persona che scoprì la vaniglia: non Hernan Cortes, come ancora oggi viene erroneamente riportato, ma il mio antenato, Raffaele Martino. A sostegno di questa tesi, vi è tutta una serie di documenti depositati presso un notaio. Ed è in virtù di tutto questo che la mia famiglia sente il bisogno di onorare la sua scoperta. L'unico modo possibile perché ciò accada è produrre vaniglia. Quella originaria, però. Secondo i dettami indicati dal mio avo nelle lettere inviate alla sua amata Isotta».
Ed è così che la famiglia Tomalino ha adottato un vaniglieto in Indonesia, a nord di Sumatra: «Un atto doveroso. Il prodotto che stiamo realizzando - spiega Giorgio Tomalino, discendente diretto di Raffaele Martino - è quello originario. Lo abbiamo chiamato Don Vanilla e chi lo ha assaggiato capisce il vero sapore di uno degli aromi più diffusi nel mondo. La nostra è un'attività imprenditoriale, e su questo non c'è dubbio, ma è diventata anche una missione. Per onorare il mio avo ma anche per tutelare le persone che lavorano nel vaniglieto. Siamo attenti a tutte le fasi della produzione e applichiamo tutti i necessari controlli di qualità. Vogliamo insomma che Raffaele Martino abbia il riconoscimento che merita e vogliamo che quelle famiglie impiegate nei campi abbiamo un avvenire migliore del presente».
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