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L'AQUILA «Mancando di conoscenze tecnico-specialistiche, la popolazione non aveva alcun elemento per poter ritenere che a una prima scossa ne sarebbe potuta seguire una successiva più potente a così breve distanza temporale». E, dunque, le due giovani studentesse Maria Urbano, 20 anni e Carmen Romano, 21, morte nel crollo del condominio di via Campo di Fossa 6B, non avevano alcuna colpa nell'aver deciso di restare in casa nella drammatica notte del sisma dell'Aquila, il 6 aprile 2009. Lo ha stabilito, nell'aprile del 2021, il giudice del Tribunale del capoluogo abruzzese, Emanuele Petronio, in una sentenza (pende il giudizio d'Appello) diametralmente opposta a quella della sua collega Monica Croci che, il 9 ottobre scorso, in una causa civile del tutto simile (intentata da familiari diversi), che riguarda il crollo dello stesso palazzo, ha invece sancito che le vittime hanno una colpa - in concorso -, fissata a una percentuale del 30 per cento, per non essere uscite di casa dopo le due scosse di terremoto (3.9 e 3.5) che hanno preceduto quella principale delle 3.32, che oggi l'Ingv quantifica con magnitudo Richter 6.1. Un verdetto, quello recente, che ha indignato gli aquilani, che hanno deciso di presidiare il Parco della Memoria, costruito per onorare le 309 vittime del 2009, con una manifestazione spontanea. Stesso fatto, giustizie differenti.
L'Aquila, il terremoto e lo choc per la “colpa delle vittime”. «Sentenza vergognosa»
IL PRECEDENTE
Eppure un precedente c'era, evidentemente ignorato o riletto in chiave differente. Ed è un precedente clamoroso perché riguarda lo stesso identico condominio, quello in via Campo di Fossa 6B, il cui crollo ha prodotto il più alto numero di vittime quella notte, ben 27, tra cui molti giovani. Tra questi Maria Urbano e Carmen Romano, appunto. Amiche, si erano trasferite dalla Campania all'Aquila per studiare. Maria si era iscritta a Ingegneria e il giorno dopo il sisma avrebbe dovuto sostenere un esame; Carmen frequentava Economia e Commercio e la settimana prima della tragedia era tornata a casa, nel Beneventano, per paura delle continue scosse, ma la domenica sera aveva deciso di rientrare. Condividevano la stessa stanza.
DIFFERENZE
I familiari delle due ragazze, nel chiedere il risarcimento, hanno citato la locataria dell'appartamento e il condominio (difeso dall'avvocato Luciano Dell'Orso).
INDIGNAZIONE
L'Aquila si è ovviamente ribellata a questa tesi, con una protesta che ha invaso i social e si è concretizzata nel sit-in al Parco della Memoria. E che promette di allargarsi ulteriormente al processo d'Appello che già preconizzano i legali pronti a impugnare il verdetto. Una rabbia trasversale, incarnata dal pensiero di alcuni familiari che hanno parlato apertamente di «vergogna», di «secondo terremoto», dei loro cari «uccisi ancora una volta», di «schiaffo alla memoria», citando in particolare le rassicurazioni fornite qualche giorno prima dalla Commissione Grandi rischi che avrebbero motivato la decisione di restare in casa: sei componenti sono stati assolti alla fine del processo, mentre Bernardo De Bernardinis, allora numero due della Protezione civile, è stato condannato a due anni perché si spinse a dire che lo sciame sismico «rappresentava una situazione favorevole, uno scarico di energia continuo».
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Il Messaggero