Roberto muore sul lavoro a 32 anni, il ministro Cartabia chiama la madre

Roberto muore sul lavoro a 32 anni, il ministro Cartabia chiama la madre
Ci sono voluti pochi giorni e il cuore di una mamma che ha perso suo figlio, il più piccolo di sei, perché la ministra della Giustizia, Marta Cartabia, rispondesse...

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Ci sono voluti pochi giorni e il cuore di una mamma che ha perso suo figlio, il più piccolo di sei, perché la ministra della Giustizia, Marta Cartabia, rispondesse con una telefonata alla lettera scritta «come madre, vedova e umile cittadina» per condividere il dolore e segnalare le difficoltà di un processo in corso al tribunale di Teramo che «a stento è iniziato e che non si riesce a celebrare per mancanza di aule adeguate».

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E’ accaduto ieri. A ricevere quell’inaspettata, ma tanto desiderata telefonata è stata la 75enne napoletana Annunziata Cario, mamma di Roberto Morelli, il camionista 32enne morto sul lavoro alla Metalferro di Castelnuovo Vomano il 29 maggio del 2017. «Il nostro processo – ha scritto Annunziata nella lettera a Cartabia - sul cui merito non mi permetto di darle notizie né di chiedere il suo intervento, è a stento iniziato e non si riesce a celebrare, nonostante rientri in quelli cosiddetti a trattazione prioritaria, visti i reati contestati. Il Tribunale di Teramo non è in grado, di fatto così ci è stato detto, di poter far svolgere in sicurezza i processi con più parti, a causa della carenza di aule attrezzate, risorse e personale, e per questa ragione in un anno e mezzo, da quando è iniziato il dibattimento, a causa di continui rinvii è stato sentito solo uno dei circa venti testimoni». Nel corso della telefonata, caratterizzata da un’iniziale momento di incredulità e dalla fortissima commozione dell’anziana mamma, la ministra le ha espresso la propria sincera solidarietà per la tragica perdita del figlio e le ha poi confermato il suo interessamento per le problematiche riguardanti l’edilizia giudiziaria in più città d’Italia.

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«Quello che noi oggi ci domandiamo, alla luce di quanto sta accadendo, è se questo povero ragazzo abbia sbagliato a morire a Teramo visto che non c’è posto neanche per celebrare il processo», commenta l’avvocato della sua famiglia, Giorgio Varano. Sono le date che scandiscono i tempi di un processo già lento, bloccato ora dal Covid-19 almeno fino a maggio, con la prima udienza tenuta il 10 ottobre del 2019, quasi due anni e mezzo dopo la morte di Roberto, e la seconda per sentire solo il primo teste lo scorso 28 gennaio, a distanza di altri quindici mesi. Dopodiché c’è stata la comunicazione che sarebbero saltate le due udienze già fissate a breve con la ripresa del processo a maggio perché ci si è attenuti al provvedimento di proroga del presidente del Tribunale delle misure di contenimento del rischio di contagio, che prevede il distanziamento delle persone in aula, anche per i procedimenti penali. Distanziamento che allo stato attuale nelle aule del Palazzo di giustizia di Teramo non è possibile garantire per processi come quello per la morte di Roberto in cui ci sono cinque imputati e sette parti civili.

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«Noi abbiamo già chiesto formalmente proprio al presidente del Tribunale di trovare una sede esterna per continuare il processo - conferma l’avvocato Varano -, ma ad oggi non abbiamo ancora ricevuto alcuna risposta. A questo ritmo la mamma rischia di non vedere neanche la fine del primo grado di giudizio». Lo stesso timore che oggi prova Annunziata: «Sono sicura che morirò prima di vedere la fine di questo processo – ha scritto alla ministra -, chiudendo per sempre gli occhi senza poter sapere come e da chi è stato ucciso mio figlio». Eppure a Teramo posti ce ne sarebbero dove poter svolgere processi con numerose parti, e come quello sull’inquinamento dell’acqua del Gran Sasso, rinviato per lo stesso motivo. Basti pensare all’aula magna dell’Università già chiesta da qualcuno. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero