Storia della Chiesa aquilana-2/​ Dalla decadenza del ‘600 all’archidiocesi del 1876, ai giorni nostri

Papa Francesco all'Aquila con l'arcivescovo emerito Giuseppe Molinari
L'AQUILA Dalla rivolta baronale contro Ferrante I di Aragona a quelle del popolo “minuto” della signoria Gaglioffi, in avversione a quella dei Camponeschi col ramo...

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L'AQUILA Dalla rivolta baronale contro Ferrante I di Aragona a quelle del popolo “minuto” della signoria Gaglioffi, in avversione a quella dei Camponeschi col ramo lusitano dei nobili Pereyra imparentati al futuro papa Paolo IV, scaturì il passaggio nel 1485-86, allo Stato della Chiesa, di Aquila.

Ma, su spinta di Lorenzo De’ Medici, la seconda città del meridione, tornava agli aragonesi per gravitare dentro alle lotte fra francesi ed imperiali in Italia.

Nel 1529, il “Comitatus Aquilanus” ribellatosi fieramente all’Imperatore Carlo V, evitò la distruzione grazie alla socialità degli ordini religiosi e di laici come dai deliberati del Concilio di Trento, suggellandosi la devozione aquilana nel dono del gonfalone civico coi quattro Santi protettori, Massimo, Equizio, Celestino, Bernardino, a San Pietro nel 1575.

Ad Aquila, nella reggenza di Margherita d’Austria, risaltò il Collegio gesuitico pari a quelli di Madrid, Lisbona, Roma, Napoli, fucina di classi dirigenti abruzzesi e di accademie culturali, perchè sostitutivo dello “studium” non ancora a regime, dato alla “seconda” e “magnifica cittade” del reame napoletano nel 1458.

 La fiscalità imperiale, banditismo, altri sismi e pestilenze provarono la chiesa aquilana avente alti prelati “extramoenia”, come l’agostiniano Giuseppe Eusani confessore di papa Clemente X e Gaspare Dragonetti in Campania.

La diocesi retta sino a fine secolo XVIII, da presuli iberico-napoletani, eccetto il paganichese Giuseppe De Rubeis, restava vessillifera della municipalità nel sisma del 2 febbraio 1703.

Aquila, in una spiritualità coinvolgente le simbologie laiche, fu rifondata da papa Clemente XI, a tutela del patrimonio chiesastico, nonché, dalla “zona franca” dalle tasse, concessa del governo ispanico ed austriaco alla popolazione sì tanto provata.

L’epoca giurisdizionalista, vide l’oratoriano Anton Ludovico Antinori autore della “Corografia aquilana” e l’accademismo ecclesiastico, però, accanto alla chiusura dei Gesuiti, Barnabiti, Celestini e dispute fra diocesi ed abati di Lucoli, Collemaggio, arcipreti di Pizzoli, Sant’Eusanio, invero, risolte da papa Benedetto XIV nel 1754.

L’Illuminismo, impose una diversa apologetica pastorale al vescovato aquilano di Francesco Saverio Gualtieri, recante in dote la Gran corte giudiziaria alla città, dove Ferdinando IV di Borbone salì alla invasione giacobina che nel 1799, perpetrò la rappresaglia contro i sacerdoti alla basilica di San Bernardino, in quel dramma rievocato a patrono comunitario da una “leggendaria apparizione” .

La religiosità, si riavvicinava alla laicità, per la visita in cattedrale di Giuseppe Napoleone nel 1807 e oltre la temperie murattiana, se nel 1818 col Concordato tra Santa Sede e Borboni, la diocesi guidata da Giovanni Manieri, annettè quella di Cittaducale.

Sarà il vescovo lucano e francescano Luigi Filippi ad incrementare la chiesa aquilana del seminario e civilmente da scienziato economico quale era, contribuendo alla fondazione della Cassa di Risparmio dell’Aquila, la seconda nel reame, nel 1859.

A Roma per la proclamazione dell’Immacolata Concezione nel 1854 e nel 1869-70 per il Concilio Vaticano I, Filippi, traghetterà oltre il laicismo del 1866 e ”questione romana”, una ecclesialità aquilana elevata ad Archidiocesi nel 1876, per la sua luminosa storia di spiritualità e prassi cristiana.

Alle crisi imperialistiche e di fine secolo, la nascente stampa cattolica locale richiamava alla pace fra nazioni, sebbene alle sconfitte italiche in impresa coloniale d'Abissinia aprisse alla presenza militare in città.

DAL’900 AI GIORNI NOSTRI

Il conciliatorismo postunitario, del secondo arcivescovo aquilano dal 1876, Augusto A. Vicentini, favoriva un apostolato innervato da opere e e missioni sociali intense e feconde.

L’Archidiocesi oltre l’antimodernismo di Pio X, guardava ai fatti scientifici, giusti, il primario in Italia Osservatorio sui fenomeni atmosferici e sismici e gli studi radiotelegrafici del sacerdote rocchigiano Domenico Argentieri, in questo slancio culturale ostacolato da ideologismi di moda.

Fra sisma marsicano del 13 gennaio 1915 e Grande Guerra, il foglio cattolico “La Torre”, ammoniva sulla veloce ricostruzione oltre le chiese danneggiate e promuovendo aiuti ai profughi, soldati, cappellani in trincea.

Finisce il biennio postbellico in coincidenza del nuovo presule, il cesenate Adolfo Turchi che rinsaldava il cattolicesimo nel Concordato fra Stato e Chiesa del 1929; il distacco dal ”novus ordo” viene dalla vacanza arcivescovile e scontro educativo fra regime fascista ed Azione cattolica nel’31, rientrante per il moderatismo dell’arcivescovo novarese Gaudenzio Manuelli verso il podestà Adelchi Serena nel 1932, in nome della rievocazione dell’incoronazione celestiniana, a latere del rito d’Indulgenza.

Tra autarchia e II Guerra Mondiale, emersero il moto salesiano ed universitario cattolico con sezioni femminili, grazie al nuovo pastore aquilano, il lombardo Carlo Confalonieri, che invocò l’intercessione della Madonna di Rojo a tutela di ogni vita umana; il “defensor civitatis” nel 1950, lasciava i suoi devoti fedeli per assurgere al porporato cardinalizio, sicchè il cattolicesimo aquilano nella ”guerra fredda”, fu guidato da monsignor Costantino Stella, sapiente interprete del Concilio Vaticano II, in un comprensorio toccato dal “miracolo economico, fra luci ed ombre.

Solcata dalle trasformazioni sociali degli anni ’60 e’70, l’Archidiocesi ebbe dimensione metropolitana nel 1972, e “pro-tempore” resse la ecclesialità dei Marsi e Valva-Sulmona per il “Cum cognitum” di papa Paolo VI, rivalutante la figura di Celestino V, parimenti, perdendosi le parrocchie del Cittaducalese nel 1976, a vantaggio delle diocesi reatina.

Il secondo metropolita, il piacentino Carlo Martini, preparò religiosi e laici alla modernità, erigendo l’Istituto superiore di scienze religiose nel 1978, ma, gratificazione l’ecclesialità aquilana ebbe dalla visita nell’agosto 1980, di Giovanni Paolo II per celebrare pur nell’agosto celestiniano, la figura di San Bernardino Da Siena ed omaggiare la Madonna di Roio, nel tripudio di giovani.

Dopo il cardinale Amico Agnifili ed il nunzio apostolico Jacopo Da Sinizzo, altri presuli aquilani assurgeranno a quelle dignità, rispettivamente: Corrado Bafile,”decano” del Sacro Collegio, il pizzolano Enrico Feroci, senza contare, dal lato della diplomazia vaticana, Orlando Antonini.

Nel 1998, nella transizione politica italica, cessando l’esperienza pastorale del friulano Mario Peressin, ad un secolo dall’ultimo vescovo aquilano, Giuseppe Molinari, fu chiamato a dirigere 146 parrocchie, per un popolo di "110.212 anime e 192 religiosi e 262 religiose".

Il Giubileo del 2000, ricollocando la Chiesa alle sue origini universalistiche, porta l'Archidiocesi ad affrontare la globalizzazione recante le questioni della giustizia sociale, non meno della libertà religiosa e sfida del multiculturalismo, mai deflettendo da una ecclesialità sempre intrecciata alla vicenda cittadina ed ancor di più, al 3 aprile 2009; la straordinaria e planetaria solidarietà verso gli aquilani culminante nel "G8" al capoluogo abruzzese e visita di papa Benedetto XVI, impongono una concezione sinergica dei rapporti civili e religiosi.

Il processo di ricostruzione investe la patrimonialità ecclesiastica, sostenendo la Santa Sede, l’allora, arcivescovo Giuseppe Molinari, avvicendato in cattedrale dei SS.Massimo e Giorgio dal piceno monsignor Giuseppe Petrocchi: il 59’ vescovo, 12’ arcivescovo, 5’ metropolita aquilano, entra dalla basilica di Santa Maria di Collemaggio il 7 luglio 2013, e, viene ordinato cardinale il 28 giugno 2018, da papa Francesco, che da primo pontefice della storia apre la Porta Santa della 728.ma Perdonanza celestiniana, il 28 agosto 2022, va a rinnovare le radici di una secolare religiosità. 

Enrico Cavalli

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Il Messaggero