Non era lei a ricattare l’amica del cuore, o almeno non ci sono abbastanza prove che sia stata lei a mettere in atto l’estorsione che otto anni fa le costò tre...
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Una storia nata da una lettera recapitata alla vittima nel gennaio del 2011 e nella quale venivano ricordati particolari e fatti “scabrosi” di quella scappatella, con la conseguente richiesta di denaro e l’individuazione di S.M., molto legata alla vittima, quale corriere e intermediaria con gli estortori. La polizia bloccò S.M. con nella borsetta banconote già fotocopiate per un valore di 2mila euro, ovvero l’ultima tranche di una serie di versamenti fatti nel corso dei nove mesi. E per questo venne ritenuta dagli inquirenti come l’unica ideatrice ed esecutrice del ricatto.
Ma le prove che quei soldi siano finiti nelle sue tasche non sono state trovate e, d’altronde, la stessa vittima durante il dibattimento ha spiegato che non aveva mai ricevuto minacce dalla sua amica. Insomma quei soldi erano destinati ad una terza persona che, però, non è mai stata scoperta, perché secondo il racconto dell’imputata le consegne avvenivano , come in un film, in modo anonimo e in determinati posti che venivano indicati di volta in volta dalla misteriosa gola profonda. Ora i legali di S.M., Adele Leombruni e Stefania Di Clemente, annunciano di voler chiedere per la loro assistita un risarcimento danni: «L’innegabile felicità e distensione della tensione accumulata negli ultimi 8 anni – spiegano – non restituiranno alla signora il mormorio e quel dito puntato contro, più forte nei piccoli centri, come Bugnara; non avrà indietro i mesi trascorsi in detenzione domiciliare fino ad ammalarsi per questo motivo, ma oggi la sua innocenza trova risposta nella sentenza di assoluzione». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero