Pittrice uccisa, via al processo. Il figlio imputato: «Mi hanno già condannato al carcere a vita»

Pittrice uccisa, via al processo. Il figlio imputato: «Mi hanno già condannato al carcere a vita»
Si alza oggi il sipario su quello che viene considerato il più efferato delitto delle cronache degli ultimi anni, l’omicidio della pittrice Renata Rapposelli....

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Si alza oggi il sipario su quello che viene considerato il più efferato delitto delle cronache degli ultimi anni, l’omicidio della pittrice Renata Rapposelli. Accusati di omicidio ed occultamento di cadavere sono Giuseppe e Simone Santoleri, marito e figlio della vittima, che devono rispondere di omicidio volontario aggravato nei confronti della donna e occultamento del cadavere rinvenuto sulle rive del Chieti in territorio di Tolentino. Il pubblico ministero Enrica Medori, che ha formulato il capo d’accusa ha chiesto che vengano sentiti 59 testimoni, il collegio di difesa (Gianluca Carradori e Gianluca Reitano per Simone e Alessandro Angelozzi per Giuseppe) ne hanno citati 26. E nel parterre difensivo ci sono nomi illustri della criminologia e che hanno fatto apparizioni continue in tv come il criminologo Ezio Denti (delitto di Yara Gambirasio) Luigi Nicotera (Informatico forense) Jury Canfora (psichiatra), Alesandro Meluzzi (psichiatra criminologo) e l’anatomopatologo Pino Sciarra.


Sulla scesa alcuni mesi fa apparvero le dichiarazioni di Giuseppe Santoleri il quale scaricò ogni responsabilità sul figlio, sostenendo che avrebbe soffocato lui la madre al colmo di una lite per soli arretrati che Giuseppe e Simone dovevano alla madre. Versione respinta da Simone e naturalmente dai suoi legali. Dopo quelle dichiarazioni Giuseppe chiese la liberà provvisoria che gli è stata negata due volte. Ma alla vigilia del processo, è arrivata a Il Messaggero una lunga lettera di Simone Santoleri, il quale minaccia di non presentarsi al processo («non capisco cosa possa servire farmi fare più di 4 ore sbattuto in un furgone, in una piccola cella, senza poi poter dire nulla, trovarsi di fronte gente che non conosco e quell’essere (ndr: è rivolto al padre) al quale ho salvato la vita e lui invece mi ha condannato al carcere a vita».
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Il Messaggero