Giovanissimo e insospettabile, mago del web movimentava tangenti della corruzione Usa-Italia

Giovanissimo e insospettabile, mago del web movimentava tangenti della corruzione Usa-Italia
Un giovane pescarese è finito al centro di una inchiesta internazionale, aperta dalla Procura di Milano, che vede tre società accusate di riciclaggio e corruzione...

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Un giovane pescarese è finito al centro di una inchiesta internazionale, aperta dalla Procura di Milano, che vede tre società accusate di riciclaggio e corruzione tra privati. Sulla base di quanto emerso sarebbe stato lui a movimentare illegalmente, dagli Stati Uniti in Italia, circa 420mila euro di tangenti. A lasciare di stucco gli inquirenti però non è stato soltanto il profilo del presunto genio della finanza criminale, giovanissimo e apparentemente nullatenente, ma anche e soprattutto la modalità utilizzata per spostare il danaro: Google Pay, app accessibile a tutti e fino a ieri al riparo da qualsiasi sospetto in riferimento a ipotetiche attività illegali. Talmente al riparo dai sospetti che solo una chat, lasciata inavvertitamente aperta su Skype, ha finito per alzare il velo sul sistema utilizzato dal giovane pescarese. Altrimenti, con ogni probabilità, il ragazzo l’avrebbe fatta franca.

Nell’inchiesta sono indagati 14 manager, in larga parte appartenenti al gruppo Leonardo, accusati di essersi fatti corrompere. Come contropartita la società avrebbe ottenuto una serie di importanti commesse. In tutto – secondo la Procura – sarebbero state versate, tramite triangolazioni con alcuni paradisi fiscali, tangenti per circa 6 milioni di euro. Al momento, tuttavia, per questioni legate a ritardi nelle rogatorie internazionali, è stato possibile ricostruire unicamente il flusso dei 420mila euro movimentati dal giovane pescarese.

Sarebbe stato proprio quest’ultimo, insieme ad un suo coetaneo che vive a Londra, nipote della titolare dell’azienda sott’inchiesta, ad ideare lo schema per spostare il danaro in maniera solo apparentemente legale. Il giovane pescarese aveva infatti creato una società con base nel Regno Unito, spendendo appena 14 sterline, attraverso la quale aveva poi acquistato due app di poco valore. Successivamente aveva offerto, come tante altre realtà della rete, i servizi delle app su Apple Play. Servizi che in seguito sono stati acquisiti da una società compiacente, con base negli Stati Uniti, che li avrebbe utilizzati per giustificare e schermare il pagamento delle bustarelle. Al termine della procedura, infatti, i soldi arrivavano in Italia, “puliti” e senza lasciare traccia, attraverso i bonifici di Google Pay. Questa, almeno, la ricostruzione della Procura, che tuttavia necessita di ulteriori riscontri. Nei guai è finita anche Google, che si è subito dichiarata estranea alla vicenda e che si è detta intenzionata a prestare la massima collaborazione alle indagini. 

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Il Messaggero