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Diversamente abile, paziente oncologico ricoverato in ospedale a Pescara per una seria complicazione delle sue patologie. Per lui, però, non c’è un letto. Doveva essere una domenica di festa quella di Amedeo che lo scorso 8 febbraio ha compiuto 40 anni. Novanta persone, tra parenti e amici, lo aspettavano in un ristorante per un traguardo importante a cui il giovane è arrivato con sacrifici e amore per tutto ciò che fa: l’attività nell’associazione per disabili Orizzonte, fondata dalla madre Michela Mattoscio, gli allenamenti di judo fino a diventare campione italiano paralimpico federazioni Fisdir e Dijkam. Mentre si preparava, Amedeo respirava a fatica ed era poco lucido. Voleva dormire. La madre e la sorella lo hanno portato in ospedale, il paziente è stato subito sottoposto al prelievo ematico, dopo due ore a una radiografia e, solo ieri mattina, a una tac. Gli esami hanno accertato la necessità di ricovero in Pneumologia o Medicina ma il problema cronico del nosocomio pescarese è riapparso come uno spettro: non c’era posto nei reparti.
Il resto lo racconta la sorella Chiara Meucci: «Mio fratello è stato sistemato su una barella del pronto soccorso, tra degenti di ogni tipo. Trenta ore in un corridoio pieno di persone, alcune delle quali si lamentavano e chiedevano aiuto. Mio fratello legato alla macchina dell’ossigeno, senza la possibilità di andare nell’unico bagno di cui si possono facilmente immaginare le condizioni igieniche e con in mano una bustina in cui fare i bisogni». Nel caos descritto, una lode al personale: «La dottoressa di turno è stata molto gentile, gli infermieri disponibili, dipendenti che lavorano molto più di quanto dovrebbero. Sono in pochi a gestire una cinquantina di pazienti ed hanno sempre il sorriso. Anche la struttura è efficiente e all’avanguardia. Dico però che mio fratello, e chi sta male come lui, non dovrebbe soggiornare tutta la notte in una corsia con altre persone malate, forse anche contagiose». Domenica sera il paziente aveva la febbre alta. «Quando è stato ricoverato la temperatura era normale - chiarisce la sorella -. Non escludiamo che, a contatto con tanti degenti, possa essersi ammalato in ospedale». Michela e sua figlia hanno costantemente assistito Amedeo, sedute su due sedie. Potrebbero forse tentare la scorciatoia all’italiana, quella delle conoscenze. La madre del degente è un’infermiera in pensione: «Non è giusto - interviene Chiara -. Curarsi è un diritto di tutti». Ma dopo la lunga attesa e i relativi disagi, finalmente il letto d’ospedale per Amedeo è arrivato alle 16 di ieri: momento che ha rappresentato la sintesi tra le difficoltà della sanità pubblica e la generosa disponibilità del personale tutto.
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