«Non ci sono parole». Scuote la testa Maria Santeramo, la madre di Antonio Bevilaqua, subito dopo la lettura della sentenza che condanna a venti anni di carcere...
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I familiari di Bevilacqua hanno preso atto con amarezza, ma con la massima compostezza, della sentenza. In aula c'erano i genitori, la giovane vedova e la sorella della vittima, sostenuti da una ventina di parenti ed amici che stazionavano nei corridoi nel tribunale. Alla madre, terminate le richieste dell'accusa, è scappata qualche lacrima. Ingente lo schieramento di forze dell'ordine, dopo i disordini verificatisi nel luglio scorso, in occasione della prima udienza, quando i familiari di Bevilacqua incrociarono l'assassino, che questa volta non si è presentato in tribunale. Ai familiari della vittima, costituitisi parte civile tramite l'avvocato Giancarlo De Marco, però non basta e gridano alla discriminazione razziale. Antonio Bevilacqua era di etnia di Rom e per la giovane vedova Gabriella Tiberi, appena ventiduenne e costretta a crescere da sola una bambina di due anni, non è stata fatta giustizia. «In queste aule c'è scritto che la giustizia è uguale per tutti, ma non è vero - accusa la ragazza dopo la lettura della sentenza -. Siamo stati trattati così perchè siamo Rom, ma noi siamo nati in Italia e siamo anche noi italiani». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero